Matilde Benedusi è una dei giovani protagonisti di Vivere non è un gioco da ragazzi, la nuova serie di Rai Fiction diretta da Rolando Ravello, dai produttori di Mare fuori. Lunedì 29 maggio su Rai1 alle 21.30 andrà in onda l’ultima puntata, disponibile anche su RaiPlay, di “questo racconto corale, che mette a confronto due generazioni, esplorando il punto di vista dei ragazzi, ma anche degli adulti (nel cast, Stefano Fresi, Claudio Bisio, Lucia Mascino)”. Per l’attrice milanese, trapiantata a Roma, dove studia da tre anni Arte e scienze dello spettacolo all’università La Sapienza, la serie che rispecchia le difficoltà e i percorsi di crescita dei giovani di oggi, tra fragilità, droga e presa di coscienza.
Matilde, chi è Serena?
È l’interesse sentimentale di Lele (Riccardo De Notaris Santorelli), ragazzo di umili origini che frequenta come lei un liceo della Bologna bene. Agli occhi del ragazzo, Serena sembra irraggiungibile. Lei all’apparenza ha una vita perfetta, ma in realtà quella facciata cinica e chiusa nei confronti del mondo nasconde diverse fragilità dovute al complesso rapporto con il padre e anche alle difficoltà con la sua sfera intima e sessuale. La droga, per lei, è un rimedio alle sue sofferenze. In questa serie affronterà un percorso di responsabilizzazione, di apertura nei confronti della vita, dell’amore, dell’amicizia e della famiglia. Apre una comunicazione col padre, dal quale ha paura di aver ereditato un disturbo psichiatrico, senza sapere una verità che la madre le nasconde.
Qual è la forza di questa serie?
Mostrare una realtà che fa parte della nuove generazioni e che Serena rappresenta. In questi anni sono aumentate le richieste di aiuto da parte dei giovani e magari la serie potrebbe aiutare qualcuno ad affrontare le difficoltà. Io ho cercato di dare più leggerezza possibile all’azione di Serena di drogarsi, non perché sia un atto da sottovalutare, anzi, ma perché fa parte della sua quotidianità e lei lo fa con ingenuità, che è qualcosa di normale per tanti ragazzi. L’uso di droghe è solo una risoluzione illusoria ai problemi.
La serialità di oggi sta ponendo molta attenzione alle storie dei giovani, mostrando le fragilità.
Siamo portati a sentirci sempre in competizione con la vita degli altri. I ragazzi hanno troppi input, che provengono da tutte le parti. Io ho 21 anni e lo capisco bene, ti puoi sentire perso. Un ragazzo che finisce il liceo si trova ad avere di fronte a se molte scelte da prendere, situazioni che possono spiazzare. Siamo abituati alla velocità dei social, ai video su Tik Tok di trenta secondi, non riusciamo ad annoiarci, ma questo è un problema perché quello che ci passa davanti agli occhi è solo superficiale.
E gli adulti cosa impareranno, invece, da questa serie?
Ho amato questo progetto proprio perché racconta l’Italia anche dei grandi. Pure loro hanno fragilità, non sono perfetti e non devono aver paura di mostrarsi così anche agli occhi dei figli. Fare il genitore non è facile e il dialogo è fondamentale.
Eri nel cast anche della commedia Il grande giorno con Aldo, Giovanni e Giacomo che ha conquistato il David dello spettatore.
Sono felice di aver preso parte a un film che sa rappresentare la vita con leggerezza, senza perdere profondità. Poi ho trovato molto bello il messaggio: la fine rappresenta anche un nuovo inizio.
Come stai affrontando questi anni nel mondo dello spettacolo?
Mi sono trasferita tre anni fa da Milano a Roma per studiare. Cerco di unire la recitazione alla parte teorica di questo lavoro. Sono arrivata nella Capitale senza conoscere nessuno. Ho iniziato a frequentare solo gente che lavora nel mondo dello spettacolo e devo dire che con tanti colleghi è nata una grande solidarietà. Nessuno di noi ha certezze riguardo al futuro e la competitività può essere pericolosa. Meglio sostenersi l’un l’atro.
Che cinema ti piace vedere o ti piacerebbe fare?
Mi piacciono film realistici, storici o basati su storie vere in cui la sceneggiatura è fondamentale. Ho avuto la fortuna fino ad oggi di far parte di progetti così.
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