MASSIMO CARLOTTO


Quando la critica Grazia Cherchi lesse le bozze di Il fuggiasco chiamò Massimo Carlotto e gli disse: “Lascia perdere tutto quello che stai facendo e dedicati alla scrittura”.
Lui, protagonista dell’assurda vicenda giudiziaria che lo costrinse alla latitanza descritta nel libro – 11 processi in 18 anni, 6 anni di carcere e una grazia per un omicidio mai commesso – seguì l’accorato consiglio e il romanzo-reportage uscì poco dopo, nel 1995.
Da allora Carlotto è diventato uno dei più apprezzati scrittori italiani. Insieme ad autori come il marsigliese Jean Claude Izzo, l’algerina Yasmina Khadra, il catalano Andreu Martin, è tra i creatori del noir mediterraneo, prolifico filone che descrive il mare nostrum come crocevia di traffici, scambi illegali di corpi, armi, valuta, droghe, un’area in cui la criminalità sperimenta una trasformazione indissolubilmente legata alla globalizzazione.
Ora la sua fiction, spesso ispirata e/o mescolata a frammenti di cronaca, diventa un film, anzi più d’uno.
Oltre alla traduzione cinematografica di Il fuggiasco, scritta dallo stesso Carlotto, interpretata da Daniele Liotti, e diretta dal regista e cosceneggiatore Andrea Manni, anche Arrivederci amore, ciao, tratto dall’omonimo romanzo, il più nero, dello scrittore padovano, diventerà un film.
A portare sullo schermo le gesta dell’infame Giorgio Pellegrini, ex extraparlamentare, cinico omicida all’inseguimento di un sogno borghese post riabilitazione, sarà Michele Soavi prodotto da Conchita Airoldi per Studio Canal Urania.
Non solo: Carlotto vorrebbe che l’Alligatore, il suo malinconico detective amante del blues e di un liquore chiamato calvados, con un passato da detenuto politico e un presente da investigatore ben introdotto nel sottobosco malavitoso, diventasse un personaggio cinematografico.
E intanto lo scrittore, fanatico di Takeshi Kitano, lavora infaticabile alla sceneggiatura di un film per la tv e al suo prossimo romanzo: “Ancora un noir, quasi un sequel di Arriverdeci amore, ciao, ma con un personaggio diverso”.

Nel “Il fuggiasco” si intrecciano la dimensione autoironica e la malinconia della latitanza. Sarà così anche nel film?
No. Il piano autoironico è molto letterario, non avrebbe avuto senso nell’economia del film. Così io e Manni l’abbiamo asciugato dalla sceneggiatura in cui però hanno trovato spazio fatti omessi dal libro. Ad esempio, episodi dell’esperienza carceraria e qualche elemento in più sulla vicenda giudiziaria anche se non mi interessava farla diventare preminente. Per tenere viva la dimensione psicologica del personaggio ho lavorato a lungo con Daniele Liotti spiegandogli in modo preciso e sincero come ci si sente nella condizione di fuggiasco. Il fuggiasco è anche un film sulla memoria degli anni Settanta, su una generazione a cui apparteniamo sia io che il regista. Comunque lo spirito del libro rimane intatto: raccontare una storia universale di fuga dall’ingiustizia, qualcosa di inedito per il cinema.

Ti definisci uno scrittore di genere. Anche il film lo sarà?
Non ci siamo posti il problema, ma io rivendico fino in fondo il ruolo di scrittore di genere. A differenza degli autori di ‘letteratura bianca’, per me come per altri scrittori di noir, non c’è differenza tra letteratura alta e bassa. Scrivo romanzi, testi per il teatro e i fumetti, sceneggiature per la tv e il cinema, canzoni: tutto ha la stessa dignità.

Che cosa pensi dell’adattamento per il cinema di “Arrivederci amore, ciao”?
Non sono coinvolto nel progetto. L’unica condizione che ho posto alla produzione è che venisse mantenuto il titolo originale. Certo, mi farebbe piacere se tenessero anche l’atmosfera noir con tutte le sue asperità. So che è molto difficile perché il cinema italiano non ha nessuna familiarità con il noir puro ma io proverei a lanciare al pubblico la stessa sfida che ho lanciato ai lettori (agli uomini più che alle donne) attraverso l’espediente dell’Io narrante che fa scattare l’identificazione, in questo caso con un personaggio abietto come Pellegrini, incarnazione di una violenza tipicamente maschile.

Hai mai pensato a una serie tv con l’Alligatore?
Si, ma l’idea non si è concretizzata perché l’Alligatore e i suoi compagni sono personaggi tutt’altro che consolatori, poco adatti al prime time televisivo. Piuttosto, spero che il mio detective arrivi sul grande schermo. Con Manni vorrei trarre un film dal romanzo Il mistero di Mangiabarche. Con il suo intreccio di criminalità e servizi segreti sarebbe una buona occasione per offrire uno spaccato del recente passato dell’Italia.

Quel libro è ambientato in Sardegna, la terra in cui hai scelto di vivere. Ma sei anche uno specialista nel descrivere il lato più dark dell’operoso Nord Est…
Il Nord Est è il più grande laboratorio criminale d’Europa. Lo sto raccontando nella sceneggiatura di un film per la tv che metterà in scena una sorta di saga familiare.

Leggi anche l’intervista ad Andrea Manni

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17 Gennaio 2003

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