Lo spunto viene da un monologo teatrale di cui Massimiliano Bruno, regista romano 42enne, una decina d’anni fa era stato autore e interprete in teatro. Il testo immaginava che qualcuno spruzzasse nella metropolitana un siero della verità, provocando il caos totale. La verità scatenava infatti conflitti e antipatie. Nel suo secondo film, Viva l’Italia, Bruno racconta di un senatore delle Seconda Repubblica (Michele Placido) traffichino e disonesto, attento agli interessi personali e non della collettività, che improvvisamente è colpito da una demenza fronto-parietale mentre è a letto con l’ennesima giovane amante. La conseguenza è che il parlamentare corrotto perde i freni inibitori e diventa un’altra persona che dice tutto quello che gli passa per la testa, cioè la verità. Placido/Spagnolo è ora una mina vagante per il suo partito e per i suoi familiari. A cominciare dai figli: Valerio (Alessandro Gassman), nullafacente che il padre ha sempre raccomandato; Susanna (Ambra Angiolini), attrice di fiction senza talento, anche lei raccomandata di papà; Riccardo (Raoul Bova) un geriatra serio e impegnato. Non mancano dunque i colpi di scena in famiglia, mentre il Bel Paese sprofonda sempre più nel fango. Anche se la realtà politica e sociale sembra oggi essere andata ben oltre la finzione di questo film prodotto dalla famiglia Lucisano con Rai Cinema e in sala con più di 500 copie dal 25 ottobre.
Come è venuta l’idea di inserire la Costituzione con la lettura di alcuni articoli?
E’ accaduto in fase di stesura della sceneggiatura. Io e Edoardo Falcone, entrambi con studi di giurisprudenza alle spalle, abbiamo voluto rileggere alcuni articoli e mostrare quanto la Costituzione sia inapplicata. E l’abbiamo poi utilizzata nel finale come escamotage, con quell’articolo 140 che recita: “Tutti i citatdini hanno il diritto di conoscere la verità”.
Ancora una volta ridendo dei ‘mali’ di casa nostra, non c’è il rischio che tutto il sistema finisca per essere assolto?
La commedia già di per sé è politica, solo che la nostra commedia degli ultimi vent’anni ha eliminato quella componente di critica sociale che ha reso grande questo genere cinematografico negli anni ’60 e ’70. Io ho voluto sottolineare i problemi italiani con una risata, che diventa amara perché c’è poco da ridere del malcostume nazionale. Ecco così spiegato il finale con questa virata riflessiva, dopo aver raccontato la volgarità estrema e una classe dirigente che dovrebbe essere d’esempio.
Si riconosce dunque nella grande tradizione firmata da Risi, Monicelli, Scola?
Sì, anche se non mi voglio paragonare a loro. La grande guerra fa prima ridere e poi piangere, così Il sorpasso o Dramma della gelosia. Io però voglio comunicare un’immagine di trasformazione, cioè che cambiando testa si può vivere in un paese migliore.
Il suo precedente film “Nessuno mi può giudicare”, che parlava di escort, era stato apprezzato in sala.
La commedia è l’unica forma d’arte che parla al popolo. Io desidero che il mio film sia visto dal popolo, a differenza di un certo cinema italiano che non ha a cuore il pubblico ed è autoreferenziale. La commedia ha questo fardello di comunicare con lo spettatore e dirgli qualcosa d’intelligente.
Anche perché di questi tempi lo spettatore potrebbe rifugiarsi nell’antipolitica.
Siamo alla vigilia delle elezioni più importanti degli ultimi vent’anni ed è bene informarsi su chi è onesto e chi è ladro. Grillo a volte dice cose giuste ma in modo aggressivo, la violenza verbale non è un buon veicolo per la democrazia.
Nella sequenza finale delle studio televisivo la scenografia mostra i visi di quattro grandi della nostra politica: Pertini, Moro, Berlinguer e Togliatti. E’ a loro che lei pensa come riferimenti ideali?
Ho una grande stima per Pertini. Di sicuro dico basta all’Italia di Moggi, Corona e Berlusconi. Occorre andare oltre la fotografia di un mondo corrotto e proporre qualcosa di positivo.
Non crede che l’immagine della donna nel suo film sia penalizzata, anche per come ne parlano gli uomini?
Innanzitutto fotografo alcuni comportamenti maschilisti, spesso dominanti. Ma mostro anche un personaggio che ho amato molto: l’operaia della mensa interpretata da Sarah Felberbaum. Mi sono ispirato a una laureanda che conosco, che lavora otto ore al giorno, una donna intelligente che non si mortifica.
Non ha immaginato un finale diverso, con il politico Spagnolo che finisce in carcere?
No, ho voluto suggerire una possibile alternativa che comincia quando Placido/Spagnolo dichiara di essere a disposizione della magistratura.
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