CANNES – Accolto con un lunghissimo applauso (nove minuti, secondo chi ha cronometrato) alla première al Grand Theatre Lumiere, Nostalgia di Mario Martone sta riscuotendo un ottimo riscontro al Festival di Cannes.
L’emozione non è mancata alla conferenza stampa ufficiale dove qualcuno ha ribadito il valore altissimo delle interpretazioni, prevedendo un premio (subito sono partiti gesti scaramantici) per qualcuno dei quattro interpreti principali (o tutti? ma non sarebbe forse possibile): Pierfrancesco Favino, Aurora Quattrocchi, Francesco Di Leva e Tommaso Ragno in un film che parte addosso a un solo personaggio ma poi rivela l’ensemble, anche nelle molte scene di vita vera del Rione.
“C’è un sentimento misterioso che ci ha guidato, il romanzo di Ermanno Rea ha qualcosa di magico – ha spiegato Martone alla stampa internazionale – C’è il labirinto della Sanità con un Minotauro e il labirinto della memoria che si incrociano. Il passato di ognuno di noi è fatto di destini, scelte sbagliate e giuste. Se ci si vuole conoscere, bisogna entrare in quel labirinto”. Ippolita Di Majo, sceneggiatrice come già nei precedenti film di Martone, ha parlato di “adattamento fedele”. “Il romanzo è pieno di digressioni e noi non abbiamo riportato tutto questo ma in qualche modo quei pensieri sono dentro al film”.
Applauditissimo Favino, che ha risposto in francese e inglese, destreggiandosi tra le lingue come fa nel film, dove passa dall’italiano accademico dell’espatriato al napoletano: “Per me Nostalgia è soprattutto una storia d’amore e di amicizia. Sono più emozioni che pensieri”. Tommaso Ragno, o’ Malommo, l’amico d’infanzia diventato un mostro, ha fatto riferimento alla tragedia greca. “Il mondo del mito, che fa parte del nostro comune background teatrale, ha dato spessore a questo lavoro”. Per Martone ci sono anche archetipi cinematografici: thrilling e western. Ma il mito è centrale. “Napoli – afferma il regista – è stata raccontata molto, specie nella sua dimensione criminale. Invece io qui non volevo parlare di Sud e camorra”. Ci si sofferma sulla bellissima scena in cui Felice lava sua madre, come in una pietà rovesciata la prende in braccio nuda e la depone nella vasca da bagno. “Felice – spiega Martone – è un uomo aperto. Decide di toccare sua madre, di lavarla, per recuperare la distanza terribile tra loro, è una scena che era scritta nel libro e a cui con Aurora siamo arrivati gradualmente. Scegliendo il luogo adatto, un bagno che poteva evocare un hammam, non volevo penombra ma che il corpo fosse visibile. Ho 62 anni e mia mamma non c’è più dal 2004. La ricordo malata, bisognosa di cure. Quella scena a 30 anni non la avrei potuta girare, ma oggi sì”. E per Favino “la forza di quella scena è nel suo aspetto simbolico. E’ come se Felice lavasse i suoi peccati e riconoscesse le proprie radici. Pensate a cosa vuol dire non vedere la propria madre da 40 anni e quanto ti puoi sentire in colpa”.
Sul realismo della messinscena con le famiglie e i ragazzi del Rione. “Il neorealismo è stato concreto, abbiamo deciso di scendere nel quartiere con la macchina da presa e ritrarre persone vere. C’è stata grande libertà. Anche le ceneri di Ermanno Rea riposano alla Sanità”.
Conclude Francesco Di Leva, che lavora in una realtà difficile a San Giovanni a Teduccio con il suo teatro, e ha un bellissimo personaggio, ispirato alla figura di Padre Loffredo. “Ho imparato a pregare, cosa che non faccio mai. Anche io, da parte mia, resisto e provo a far innamorare i ragazzi del teatro. Abbiamo raccontato una Napoli dura e selvaggia nel Sindaco del Rione Sanità, ma volevamo parlare anche dell’esercito del bene perché c’è, è reale. E poi Martone ha mostrato la solitudine del camorrista che vive in un covo di merda, con un giardino non fiorito, sedie scassate, e se vuole una donna la deve pagare. Questo film è il tentativo disperato di salvare Napoli”.
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