MARTIN SCORSESE


clicca per guardare il video E’ autentica l’emozione che scorre tra le sale del Palazzo del cinema di Roma e uno studio di registrazione newyorchese: dall’altro capo del satellite c’è Martin Scorsese. Raffreddato, ma forse anche commosso. Ringrazia il capo dello Stato Ciampi. Parla con la platea affollatissima – c’è tutto il cinema italiano di ieri e di oggi – e racconta le radici del suo film. Le sue radici. Un nonno che si chiamava Scozzese e che non prese mai la cittadinanza italiana né imparò l’inglese, la festa del santo patrono che trasforma Elizabeth Street, nel Lower East Side, in una viuzza di Cimmina o Polizzi Generosa. Racconta con la semplicità che ha messo nelle quattro ore di storia del cinema a modo suo che è Il mio viaggio in Italia.
“Non posso essere lì con voi, peccato. Sono al montaggio di Gangs of New York, che ho girato a Cinecittà”, attacca. E poi rievoca la nascita di questo complicatissimo collage di un immaginario in via d’estinzione: il famoso pranzo con Fellini e Suso Cecchi D’Amico; la visita di Giorgio Armani a Las Vegas, sul set di Casinò, quando per la prima volta (era il ’95) si parlò di una grande antologia dei nostri classici visti con gli occhi del bambino italo-americano che scopriva la Sicilia antica e quasi mitologica dallo schermo di una tv. “A casa mia non c’erano libri e quando vedevo i film italiani e sentivo le reazioni dei miei parenti mi sembrava di capire. Questa è la verità, non i western di Roy Rogers”. La verità era Paisà visto in una copia nerissima a 6 anni, nel remoto ’48.
clicca per guardare il video Tra Martin e le immagini di Rossellini, De Sica o Germi c’era un rapporto personale, di parentela. “Storie e passioni, volti e modi di essere mi facevano capire i miei nonni e i miei genitori”.
Infatti sta già pensando a un secondo capitolo, in particolare sul suo rapporto con la Sicilia. “Lì potrò usare le riprese fatte nei paesi dei miei genitori durante un ultimo viaggio”, confida. Ma non sarà la stessa emozione. “Rosi, Pasolini, Olmi, i Taviani, Bertolucci e Bellocchio compongono questo quadro. Ma con quel cinema ho un rapporto meno intimo. Ero già un autore affermato”.
Torna invece sul senso del neorealismo: l’Italia che si rimetteva in piedi dalla catastrofe della guerra e lavava i panni sporchi di fronte al mondo intero. “Era un cinema pieno di amore e compassione, che veicolava valori umani profondi in tempi difficili. Una fonte di ispirazione per qualsiasi generazione”. Mean Streets, ad esempio, è pieno di riferimenti al cinema italiano. I vitelloni in particolare. Come Toro scatenato o Taxi driver cerca di cogliere quel sentimento di verità che, per il giovane Martin come per molti altri, trasudava da ogni fotogramma del neorealismo. “Era un cinema che sapeva raccontare la working class, pieno di violenza, speranza, disillusione… Anche se oggi sembra che esista solo il cinema americano”. Qualcosa di quel cinema ci sarà forse anche in Gangs of New York, affresco epico e grandioso sulla nascita della sua città. Ma ai giovani Martin racconta: “in principio c’era Rossellini”.

autore
19 Dicembre 2001

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