CANNES. “Devo incontrare un produttore svizzero, che ha coprodotto Aurora del romeno Cristi Puiu, presentato l’anno scorso a Un Certain Regard, e che è impegnato in un progetto italiano. E poi nel gruppo di Producers on the Move ho trovato tre o quattro interlocutori in sintonia con il lavoro della Vivo Film, come il tedesco Gian-Piero Ringel, produttore di Wim Wenders, ma è un primo approccio che va approfondito”. Così Marta Donzelli invitata, in rappresentanza dell’Italia, a Producers on the Move, l’appuntamento creato dall’European Film Promotion con il sostegno di MEDIA, e che con Gregorio Paonessa ha fondato nel 2004 una casa di produzione indipendente che l’anno scorso a Cannes ha portato Le quattro volte di Michelangelo Frammartino, premio Europa Label Cinema, realizzato in collaborazione con Cinecittà Luce che lo ha distribuito.
Allora come è andata?
Un onore partecipare a un evento ben seguito dalla stampa trade e un’occasione di contatti con produttori di alto profilo e anche con percorsi differenti, chi spostato verso l’art house e chi verso prodotti più commerciali. E se non accade subito qualcosa di concreto, si tratta comunque di un’occasione favorevole per costruire contatti.
Cambierebbe qualcosa della formula?
Forse occorrono due mezze giornate per meglio approfondire i contatti. C’è questa sola mattina, un round table per 25 producers, dove il tempo di ciascuno per raccontare i progetti e chi siamo è un po’ limitato. Comunque il Festival, non dimentichiamolo, è di per sé un momento ricco di incontri.
Che progetti più avanzati ha presentato a Producers?
Innanzitutto l’esordio della scrittrice e regista teatrale Emma Dante Via Castellana Bandiera, tratto dal suo primo omonimo romanzo, che stiamo coproducendo con la Offside di Mario Gianani e su cui c’è un impegno alla distribuzione di Cinecittà Luce. La composizione italiana si sta chiudendo, mancano la firma di Rai Cinema e la risposta dal MiBAC, mentre sul versante internazionale abbiamo impostato una coproduzione svizzera, e ne stiamo cercando una o due su Francia e Germania. Speriamo di girarlo entro la fine di quest’anno o nella prima metà del 2012, con location a Palermo e una parte di interni da ricostruire.
Via Castellana Bandiera racconta una vicenda estrema che sconfina nel surreale e vede protagoniste due donne siciliane, una giovane e un’anziana, bloccate nelle loro auto, una di fronte all’altra in un vicolo stretto di Palermo, e nessuna vuole fare retromarcia per lasciare libero il passaggio.
E il secondo progetto qual è?
Quello italo-libanese intitolato Beirut I Love You i cui autori sono il torinese Gigi Roccati, che curerà la regia, e un’artista visiva libanese, Zena El Khalil, che firma l’omonimo ‘mémoire’ edito in Italia. Abbiamo concluso proprio qui a Cannes un accordo per questo film con una giovane produttrice libanese. Il progetto, selezionato inoltre dal Torino Film Lab, è molto attuale. Racconta la storia della formazione di due giovani donne arabe dalla fine degli anni ’90, periodo della rinascita del Libano dopo la guerra civile, passando per la loro esperienza negli Usa del dopo 11 settembre, fino al 2006, anno dell’invasione israeliana del Libano. E’ una storia vera che Zena El Khalil aveva iniziato a scrivere in un blog, ripreso da tutti i media internazionali. Una vicenda molto personale, ma rappresentativa delle nuove generazioni arabe che vivono questo grosso conflitto tra Oriente e Occidente.
Film di finzione allora, ma sul vostro sito è scritto che realizzate documentari d’autore.
E’ vero siamo nati con il documentario, ma non condividiamo la distinzione tra film e documentario. Abbiamo fatto comunque cinema, attratti da ciò che si colloca in un luogo di confine, tra realtà e finzione.
A che punto è il documentario “Cinecittà campo profughi” di Marco Bertozzi?
Sono terminate le riprese e abbiamo cominciato il montaggio. Oltre ai materiali dell’Archivio Luce, grazie a un articolo uscito su un quotidiano di Latina, al giornalista Fabio Ferzetti e a una studiosa americana Noa Steimatsky, siamo riusciti a rintracciare alcune persone che vissero, tra il 1944 e il ’45, come profughi nel campo internazionale allestito negli studios, dove le abbiamo fatte ritornare. Accanto a queste testimonianze sono state anche usate immagini tratte dal film Umanità , realizzato 1946.
E in cantiere c’è altro?
Stiamo sviluppando con Cinecittà Luce un documentario che potrebbe avere anche una destinazione per la sala, dal titolo Wolf diretto da Claudio Giovannesi, scritto e interpretato da David Meghnagi, docente di psicologia. Torna in primo piano la Shoah, ma partire da un tema delicatissimo, quello del senso di colpa vissuto dal mondo ebraico per alcuni presunti episodi di ‘collaborazione’ con gli assassini. In particolare al centro del film ci sarà Wolf Murmelstein, figlio Benjamin, rabbino capo di Vienna durante il nazismo, poi responsabile della comunità internata nel lager di Terezin dove viene rinchiusa l’elite intellettuale e artistica ebrea e anche Wolf bambino. Suo padre, finita la guerra, viene accusato di collaborazionismo, tanto che alla sua morte nel 1989 a Roma, la comunità ebraica nella persona del rabbino Toaff gli rifiuta la sepoltura secondo le tradizioni. Il figlio Wolf, peraltro conosciuto personalmente da Meghnagi, da tempo è impegnato nel racconto della vicenda che ha visto protagonista il padre.
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