Marquez nel deserto del Kazakistan


Non è poi così lontano dalla realtà che laddove un tempo c’era il mare ora ci sia il deserto. Il regista Bakhtyar Khudojnazarov, originario del Tagikistan, per il suo Aspettando il mare, il film fuori Concorso che inaugura il Festival di Roma, si è ispirato al disastro ambientale del lago d’Aral. Nel corso di un trentennio il lago dell’Asia centrale si è prosciugato per quasi due terzi, a causa del prelievo di acqua per l’irrigazione. Ma la storia universale di Aspettando il mare non ha una precisa connotazione geografica, potrebbe accadere in qualsiasi altra parte del pianeta.

 

Tutto è avvenuto dopo una terribile tempesta nella quale il capitano Marat (Egor Beroev) ha perso l’amata Dari (Anastasia Mikulchina) e i suoi marinai. Lui solo è miracolosamente sopravvissuto, attirandosi l’odio e il sospetto della comunità del paese ora alle prese con l’improvvisa scomparsa del mare, che si è ritirato lasciando una landa desolata. Marat non si rassegna alle nuove condizioni di vita, a differenza dei suoi concittadini e del suo migliore amico Balthazar (Detlev Buck) che s’arrangia con un improbabile e improvvisato aeroporto al posto del mare, mentre ‘veglia sul passato’ grazie a un piccolo museo marino. Marat non s’arrende e ritrova una ragione di vita nel trascinare in mezzo alla sabbia la sua nave ormai arrugginita alla ricerca del mare.

 Il regista (Leone d’argento nel 1993 con Pari e patta) vive a Berlino e ci ricorda di essere nato nell’ex Unione sovietica e di averla lasciata quando è crollata. “Sono molto legato alla mia terra, l’Asia centrale, di essa parlo nei miei film ma l’osservo da fuori, da un po’ lontano. L’Asia centrale è il tema del mio trittico che sta impegnando dieci anni”.
In questo film, sospeso tra favola e tragedia, la vicenda del mare che si è ritirato è solo in apparenza centrale. Il cuore è il danno ecologico provocato all’animo umano dal mutato scenario naturale. Gli abitanti del villaggio, un tempo marinai e pescatori, hanno dentro il vuoto, il deserto. E’ a loro che parla con la sua disperata e titanica impresa l’ex capitano Marat. Un percorso di rinascita, portato a termine in totale solitudine, scontrandosi con l’odio, l’irrisione e lo scetticismo dei tanti. Un viaggio durante il quale nostro eroe rifugge dall’amore immenso di Tamara (anche questo personaggio è interpretato da Anastasia Mikulchina), sorella della moglie.

“La vicenda di questa nave che Marat muove lentamente e con grande fatica nel deserto è simbolica – spiega il regista – sia della speranza che nell’uomo non muore mai, sia della necessità di lottare contro l’immobilismo. Spesso noi non vogliamo vedere i problemi che stanno davanti a noi, eppure la loro soluzione dipende solo dalla volontà individuale”.
Lo spettatore, una volta uscito dalla sala, porterà con sé l’idea che l’uomo, anche nelle peggiori circostanze, deve continuare a credere in qualcosa, lottare per i suoi ideali, come sostiene lo sceneggiatore Sergej Ashkenazy.

La troupe per girare il film nel deserto del Kazakistan ha affrontato temperature torride e location proibitive. “Costruire la bellezza richiede un grande lavoro”, afferma il regista. Aspettando il mare è parte di una trittico, ma l’ultimo capitolo è ancora segreto. “Di sicuro sarà bello visivamente. C’è un filo che unisce questa trilogia che si ispira alla letteratura, in particolare a Gabriel Garcia Marquez. Nei suoi romanzi tutto è autentico e allo stesso tempo inventato. Ho applicato questo principio al mio cinema. Marquez ha visto il mio film precedente, Luna Papa, e ha riconosciuto la sua eredità, ha ritrovato il suo mondo in quello che racconto”.

autore
09 Novembre 2012

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