Compirà 90 anni il prossimo 15 maggio, ma la sua energia di regista appassionato del suo lavoro non sembra aver subito débacle, come testimonia l’incontro alla Casa del Cinema di Roma, subito dopo la proiezione di L’artigiano di Viareggio, il documentario diretto da Marco Cucurnia, che lo vede protagonista.
Anzi Mario Monicelli si appresta tra qualche settimana a partire per il Marocco, dove ambienterà il suo prossimo film, Le rose del deserto, pellicola che appena avuto il via libera per il finanziamento pubblico, con un budget che si aggira intorno ai 2 milioni di euro.
Per i suoi novant’anni il Premio di Viareggio, città natale del regista, verrà anticipato da settembre al prossimo aprile, e Monicelli sarà l’ospite d’onore, protagonista dell’omaggio di Europa Cinema.
Monicelli, cosa narra il suo nuovo film?
Racconto l’ultima guerra in Libia. M’ispiro al romanzo di Mario Tobino “Il deserto della Libia” dove lo scrittore è stato all’epoca ufficiale medico e ha raccolto diari, annotazioni su vicende di quei giorni. Anch’io ho fatto la Seconda Guerra mondiale, ma non in Libia, una realtà che, invece, mi ha sempre interessato. Così, ho scritto la storia di una sezione di sanità dell’esercito, che è costretta a vivere tre anni nel deserto libico.
Ha già scelto il cast?
Sono stati già fatti diversi nomi: Giorgio Pasotti, Alessandro Haber e Diego Abatantuono, ma per ora non voglio dare conferme, perché gli attori poi si montano la testa e chiedono cachet altissimi.
“Le rose del deserto” sarà il proseguimento ideale de “La grande guerra”?
No, quello era un altro momento. Allora, formavo un gruppo con una mezza dozzina di registi, come Risi, Comencini, Scarpelli e i critici ci chiamavano “quelli dei film spazzatura”, ma a noi non ce ne importava nulla. Eravamo soddisfatti del successo popolare, lavoravamo senza gelosie e ci divertivamo, soprattutto io e Steno, tanto che la gente pensava fossimo una persona sola, Steno Monicelli.
Non fu facile separarci perché i produttori si fidavano di noi in coppia. Facevamo un paio di film all’anno, a me ne sarebbe bastato uno, ma Steno si doveva sposare e aveva bisogno di soldi. Per sua moglie divenne anche monarchico, ma in realtà eravamo tutti socialisti e quando uscì La grande guerra avevamo tutti i critici contro perché non ci ritenevano all’altezza di realizzare un film storico. Invece noi ci siamo attenuti a certi libri, anche se non a quelli ufficiali. In quel film cambiai i connotati artistici a Gassman, facendo dimenticare il suo ruolo di bello e cattivo in Riso amaro. La nostra era la vera commedia all’italiana che veniva da lontano, da Boccaccio.
Qual film recente le è piaciuto?
La vita è bella di Roberto Benigni. Ha in sé una trovata geniale, anche se contiene un falso storico: non furono gli Americani a liberare i campi di sterminio con gli ebrei dentro, ma fu l’Armata Rossa.
A quale dei suoi film è più legato?
A molti, pure al manifesto maschilista, quello di Amici miei,
e al manifesto femminista di Speriamo che sia femmina: fu
una bella idea perché sulle donne c’è da raccontare tanto, sono loro le vere grandi protagoniste dei nostri tempi.
Con MaXXXine, in sala con Lucky Red, Ti West conclude la trilogia iniziata con X: A Sexy Horror Story e proseguita con Pearl, confermandosi una delle voci più originali del cinema di genere dell’era Covid e post-Covid
Dove nessuno guarda. Il caso Elisa Claps - La serie ripercorre in 4 episodi una delle più incredibili storie di cronaca italiane: il 13 e 14 novembre su Sky TG24, Sky Crime e Sky Documentaries.
Codice Carla mostra come Carla Fracci (1936-2021) fosse molto più di una ballerina famosa.
Il disegnatore, illustratore e docente presso la Scuola Romana dei Fumetti ci racconta come ha lavorato sugli storyboard dell'ultimo successo di Gabriele Mainetti