“Antonia Pozzi è un cult a Milano, è un personaggio che dagli anni ’80 ad oggi non ha smesso di suscitare curiosità e attenzione, una poetessa di cui ancora oggi si pubblicano diari e poesie inedite, mentre in vita non ha pubblicato nemmeno un rigo”. E’ a questa figura affascinante – donna appassionata e sensibile che soffriva l’ambiente maschilista e altoborghese in cui viveva al punto di suicidarsi, nel 1938, a soli 26 anni – che Marina Spada ha deciso di dedicare il suo nuovo documentario Poesia che mi guardi. Ci è arrivata dopo numerosi documentari, l’esordio nella finzione con Forza cani e poi l’opera seconda Come l’ombra (passata alle Giornate degli Autori nel 2006), come questo ambientato a Milano e legato alla poesia (il titolo nasceva da un verso di “A molti” (1922) di Anna Achmatova. Prodotto da Miro Film con il contributo della Provincia di Milano, Poesia che mi guardi viene presentato domani ai Venice Days.
Perché un documentario su Antonia Pozzi?
Volevo attualizzare il suo messaggio poetico e fare un film sulla necessità della poesia. Fare poesia è rivoluzionario e necessario. Sono parole usate senza fini commerciali, perché comunque non hanno mercato, e rappresentano l’espressione più onesta di sé. Ho scelto di raccontare l’amore per la poesia e per l’opera di Antonia Pozzi attraverso l’attrice Elena Ghiaurov, che interpreta una regista che realizza un reportage sulla poetessa e che decide di coinvolgere il collettivo H5N1, un gruppo di poeti anonimi che affidano le loro opere ai muri della città e per i quali, come ho scoperto sul loro sito, il film di riferimento è il mio Forza cani. Grazie a loro la regista cerca di far rinascere la poesia a Milano come momento di condivisione e di dare la massima visibilità all’opera della Pozzi. Anche questi ragazzi in Poesia che mi guardi sono interpretati da attori, ma non si tratta comunque di una docufiction, quanto piuttosto di un documentario di ricerca, o di creazione.
Come si è avvicinata alla figura della poetessa?
L’ho “conosciuta” grazie alla mia analista e poi, dopo aver girato Come l’ombra, ho intrapreso un lavoro di ricerca su di lei, quasi per elaborare il lutto. Sono andata alla Libreria delle Donne di Milano per cercare libri sulla Pozzi e poco tempo dopo sono stata chiamata dalla sua biografa ufficiale, Graziella Barnabò, che ha scritto a fine 2005 la biografia “Per fin troppa vita che ho nel sangue”.
Chi era Antonia Pozzi?
Per me, come per molti, di Antonia Pozzi è arrivata prima la leggenda, quella della donna poeta che negli anni ’30 si muoveva in un ambiente intellettuale maschile e perciò ostile, quella della poetessa morta suicida in giovane età. Poi, leggendo le sue opere, la sua biografia, parlando con le persone e avendo accesso a un materiale di archivio ricchissimo, che conteneva circa 3.000 foto fatte da lei a Milano, città dove è nata e ha vissuto, ho scoperto la donna e l’artista in profondità. Una ragazza che era costretta a nascondere la sua passionalità intensa dietro l’apparenza borghese, una poetessa troppo moderna per essere capita, nemmeno dai suoi professori, che la stimavano molto a livello intellettuale ma la scoraggiavano a esprimersi con la poesia.
Anche qui, come in “Come l’ombra”, la città di Milano ha un ruolo molto importante.
Sì, ma in modo diverso rispetto a quel film. Stavolta ho realizzato una ricerca filologica dei luoghi frequentati da lei, da piazza Duomo al quartiere Magenta, all’università, che non era all’epoca dove si trova oggi.
Che destino avrà “Poesia che mi guardi” dopo la presentazione a Venezia?
Spero in un acquisto da parte della televisione e nella successiva realizzazione di un cofanetto con libro e dvd.
Ora sta lavorando a un film di finzione, “Metafisica delle scimmie”.
Sì, è un film prodotto da Film Kairos di cui ho finito da un po’ di scrivere la sceneggiatura. E’ la storia di una donna che fa il formatore aziendale e lo girerò l’anno prossimo tra Milano e la pianura Padana.
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