Propaganda Gem è un’azienda globale di entertainment marketing con sedi sparse nei 5 continenti e un portfolio clienti in cui figurano marchi come Bulgari, Stefanel, La Perla, Audi, Barilla, Ferragamo, per citarne alcuni. La missione della società è far vivere il life style e i valori dei marchi dei clienti attraverso prodotti di intrattenimento: dal cinema alla tv, dai videogames ai parchi a tema.
Qualche mese fa Propaganda ha aperto una sede italiana attirata dal via libera al product placement arrivato con il decreto legislativo Urbani. Marina Marzotto è la managing director che in pochi mesi ha conquistato la fiducia di Tangram Film, Lumière e Movieweb.
Come reagiscono i produttori italiani di fronte alla novità del product placement?
Alcuni con incredulità. Tra quelli abituati a ricevere sovvenzioni pubbliche è diffusa una certa inadeguatezza rispetto al concetto stesso di mercato. La maggioranza invece ha mostrato un grande interesse per la creazione del nuovo mercato. Ma è inutile avere fretta. Oggi è impensabile coprire il 20% delle spese di produzione attraverso il product placement. Ci vorranno 5/6 anni per valutare il ritorno dei primi investimenti e rilanciare.
Ha già lavorato a produzioni italiane?
Sì. In La vita che vorrei, ultimo film di Giuseppe Piccioni, vedremo Luigi Lo Cascio alla guida di un’Audi. Ovviamente si tratta di un’auto adeguata al suo personaggio. Chi vedrà il film non penserà di aver di fronte uno spot. La sovraesposizione è negativa: un product placement riuscito non è mai smaccato. Più che di product placement parlerei di product integration per indicare la perfetta integrazione del prodotto nella storia. Ad esempio, l’inserimento della collana Bulgari in Mission Impossible funziona perchè non crea nessun elemento di dissonanza narrativa. Insomma, il cinema è l’elemento principe. Non si producono film per vendere prodotti.
Quali sono le declinazioni chiave del product placement?
Può esserci una production fee, ovvero un contributo diretto alla produzione che, quasi sempre, viene versato a film concluso. Oppure i marchi possono offrire il loro apporto nella costruzione del set, nella riduzione dei costi. L’azienda può anche decidere di associarsi alla distribuzione. Può acquistare delle pagine pubblicitarie in occasione del lancio della pellicola. Il volano distributivo mi sembra la strada maestra da seguire per i produttori italiani.
Quali marchi sono più adatti per il cinema italiano?
C’è spazio per ogni tipo di marchio: dai brand dell’alta moda a quelli più locali. Stiamo studiando possibili sinergie con la Lazio Film Commission per valorizzare il territorio non solo attraverso le location ma anche con marchi regionali. In linea generale ci sono due tipi di film vendibili agli inserzionisti: quelli a larga distribuzione e quelli con un forte valore culturale. Pellicole come Traffic e The Million Dollar Hotel dimostrano che il product placement può andare d’accordo con il cinema d’autore.
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