Ha radici nell’infanzia la fascinazione per le storie di fantasmi di Mariantonia Avati. Una passione così forte che l’ha spinta a fare un film, il primo, dopo una lunga gavetta cominciata 15 anni fa come assistente di regia del padre Pupi nel film Storie di ragazze e di ragazzi e poi proseguita come regista di documentari e delle 180 puntate della soap opera Caro domani, andata in onda sul canale satellitare Sat 2000.
Il titolo è I dodici sogni ed è un thriller scritto a quattro mani col papà che è anche produttore per la Duea Film insieme al fratello Antonio.
Girato in digitale, in 7 settimane con un budget di 500 milioni di vecchie lire, il film sarà pronto per fine ottobre. Nel cast attori amici semisconosciuti al grande pubblico: il 36enne Patrizio La Bella, il 18enne Lorenzo Balducci e Alessia Goria.
Perché hai scelto una storia di fantasmi per esordire?
Perché amo il cinema di genere e in particolare il fantastico e il gotico. Il mio immaginario è segnato dalla letteratura inglese: da Henry James alle scrittici gotiche dell’era vittoriana. A.n.i.m.e. è un film privo di infiltrazioni new age, rispetta tutti i canoni classici delle storie di fantasmi. Racconta dell’indagine parapsicologica condotta ai giorni nostri dal sacerdote 35enne di una parrocchia umbra e un giornalista alle prime armi in cerca di scoop. Insieme ripercorrono la storia di un delitto avvenuto 40 anni prima che ha lasciato delle presenze inquietanti in un ex albergo. Ho girato a Roma, in un convento a Circo Massimo e in un collegio a Piazza di Spagna, e in Umbria, tra Todi e Acquasparta, dove la Duea ha una base logistica.
Anche tuo padre ha una grande passione per il gotico. Tra i film che ti hanno influenzato c’è qualche suo titolo?
L’immaginazione di mio padre è molto più concreta della mia. Ma nel suo film Le strelle nel fosso, uno dei migliori ma piuttosto sfortunato, c’è una concezione della vita oltre la morte simile alla mia. Poi fin dall’infanzia mi porto dietro le immagini del film I diabolici (regia di Hanri-George Clouzot, anno 1954 ndr). Ho attinto anche da Rebecca di Alfred Hitchcock e La casa sulla scogliera di Lewis Allen.
E’ difficile il debutto per una figlia d’arte?
Il rapporto con mio padre si è fatto via via più stretto quando abbiamo cominciato a lavorare insieme. Riconosco il suo grande mestiere e non abbiamo mai avuto conflitti profondi. Io ho scritto soggetto e trattamento, lui ha sviluppato i dialoghi. Ma non ha voluto assistere al primo ciak: era impegnato nelle riprese di Il cuore altrove e poi forse si sarebbe emozionato troppo.
Che metodo hai usato per dirigere gli attori?
Avevo tempi stretti per le riprese così ho fatto alcuni incontri di preparazione con loro. Sul set di solito sono molto rigorosa. Non lascio troppa libertà agli attori.
Perché hai scelto il digitale?
Intanto, perché avevo a disposizione un budget ridotto. Poi il direttore della fotografia Cesare Bastelli, uomo di grandi conoscenze tecniche, mi ha convinta delle potenzialità della Cinealta, camera della Sony ad alta definizione. Per la prima volta in Italia, l’abbiamo usata con lenti cinematografiche che danno una grande nitidezza d’immagine. Per le scene più oniriche invece ho girato con una normale camera digitale che, riversata in pellicola, offre un effetto più sgranato.
Userai molti effetti speciali?
A.n.i.m.e. è un film di atmosfere più che di effetti speciali. Ma li userò in fase di postproduzione, effettuata in gran parte nello studio di mio fratello Alvise, per aggiungere una patine surreale ad ambientazioni e paesaggi.
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