Maria Sole Tognazzi: “Un film all’insegna della vera solidarietà femminile”

Tra i sette cortometraggi il suo Unspoken, con Margherita Buy.


“Sono molto felice che finalmente il film esca in Italia: Tell It Like a Woman è un progetto nato negli Stati Uniti, già un po’ di anni fa…” (clicca qui per leggere il nostro articolo sul film)

Alla vigilia dell’uscita al cinema del film collettivo che racconta il coraggio e la forza delle donne di tutto il mondo, CinecittàNews ha incontrato Maria Sole Tognazzi, regista di Unspoken, uno dei 7 cortometraggi che compongono quest’antologia tutta al femminile.

Come sei entrata in questo progetto internazionale? Chi ti ha contattato?

Mi chiamò, già prima della pandemia, Chiara Tilesi, fondatrice di We Do It Together, la società di produzione cinematografica no profit basata a Los Angeles, che ha ideato e prodotto il progetto. Lei mi ha parlato della sua idea di mettere insieme sette registe di sette diversi Paesi del mondo e di far realizzare ad ognuna un racconto con una protagonista donna, per un progetto collettivo molto importante…

Ti sei circondata subito di due persone fondamentali.

Sì, ho proposto subito a Margherita (Buy, ndr) il nostro segmento, Unspoken, dopodiché mi sono sentita con Giulia Steigerwalt, che ha scritto il soggetto del nostro cortometraggio: e il nostro, tra i sette, è stato il primo o il secondo ad essere stato realizzato, perché poi c’è stata la pandemia e quasi tutti gli altri sono andati incontro a dei blocchi della produzione in varie parti del mondo… Insomma è stato un progetto davvero faticoso, e questo secondo me lo rende ancora più speciale, perché ci è voluta davvero tanta energia per portare a compimento una cosa così grossa.

La produzione vi ha dato delle linee guida da seguire per i singoli segmenti?

Il contrario, ci dissero fin da subito che avevamo la totale libertà di racconto, che non c’era un’idea da seguire per i singoli episodi: quindi potevamo lavorare sia su una storia realmente accaduta o su una completamente inventata… Quando ho incontrato Giulia (Steigerwalt, ndr) avevo appena finito di girare la seconda stagione di Petra, ero al montaggio. Le ho detto che volevo essere in quel progetto ma che volevo lo scrivesse lei, perché avevo poco tempo… e che gli unici vincoli che avevamo erano i 15 minuti di durata del corto e che volevo farlo con Margherita, come è stato per ogni regista di ogni Paese che ha portato la sua attrice. E dopo che anche Margherita ha accettato volentieri, Giulia mi ha proposto di raccontare una storia realmente accaduta negli Stati Uniti.

Allora parliamo di questa storia.

Siamo partite da un fatto di cronaca, la storia di una donna che subiva violenze dal compagno che la teneva segregata in casa: e per potersi liberare, per poter uscire a chiedere aiuto, è arrivata a ferire il proprio cane. Nella storia vera la donna, appena arrivata nella sala d’aspetto della clinica veterinaria, aveva lasciato un bigliettino con la sua richiesta di aiuto e tutto era terminato piuttosto alla svelta, con l’arrivo della polizia e l’arresto dell’uomo che la accompagnava.

Ma la vostra storia così sarebbe finita subito e quindi avete costruito un racconto diverso, che ovviamente non spoileriamo. Cosa avete cercato di mostrare, soprattutto?

Noi ci siamo ispirate a questo fatto di cronaca per raccontare non solo una storia di violenza, ma soprattutto una storia di solidarietà femminile, che è la cosa che più ci è piaciuta di quel che abbiamo scritto. Quindi il “come” Margherita si rende conto che questa ragazza è in cerca di aiuto. È quello il sentimento che muove tutta la storia. Questo per dirti ancora della totale libertà di racconto che abbiamo avuto in questo progetto, che voleva mettessimo sì al centro del racconto una protagonista, ma per trattare delle tematiche che andassero incontro al senso di tutta l’operazione: non quello di parlare necessariamente della violenza di genere, ad esempio, ma di raccontare le donne in un certo modo, ovvero come ci sentivamo di farlo, ma liberamente.

Margherita Buy, la ‘tua’ attrice. Questo è il terzo film che hai fatto con lei, e non è l’ultimo.

Sì, prima Viaggio da sola, nel 2013, poi Io e lei, nel 2016, poi questo corto, Unspoken, e poi il mio prossimo film che esce quest’inverno, 10 minuti. Quando mi trovo bene con delle persone io amo continuare le collaborazioni, in generale. Mi piace costruire un percorso insieme, sia da un punto di vista tecnico che da un punto di vista creativo, quindi sia con le persone legate alla produzione che con gli attori. Con Margherita è stato un incontro bellissimo, ormai anni fa, con Viaggio da sola siamo diventate molto amiche, direi quasi inseeparabili. Per lei nutro un affetto enorme e un piacere costante di lavorare insieme. Spesso mi viene proprio spontaneo pensare “sarebbe bello scrivere una cosa tagliata su Margherita”, come è stato anche quando mi hanno proposto questo progetto. Lo stesso è avvenuto con il film che ho appena girato, dove c’era sì questo ruolo, ma io comunque ho subito pensato “lo posso scrivere per Margherita”. Ormai funziona così, io la chiamo e le dico: “faccio questo film, ci sarebbe questo personaggio, ti va di farlo? Lo scrivo per te?” E quando succede una cosa del genere con un attore è un grande lusso, perché puoi pensare già scrivendo a un tipo d’interpretazione che ti piace. Ed è stato molto bello che mi capitasse con lei molte volte, Unspoken compreso.

Dopo il successo al Festival del Cinema di Taormina 2022, dove è stato presentato in anteprima internazionale, Tell It Like a Woman è stato prima scelto per inaugurare l’apertura dei lavori di UN Woman nel mese di marzo dedicato alle donne, poi candidato agli Oscar nella categoria “Miglior Canzone Originale” col brano “Applause”, scritto da Diane Warren e interpretato da Sofia Carson.

Quando ci siamo ritrovate tutte insieme l’anno scorso per portare il film a Taormina, era la prima volta che si vedeva tutto e si presentava a un festival, è stato davvero molto bello. Ogni cortometraggio è stato realizzato in un Paese diverso, con una sua troupe, una produzione e degli attori, e nessuna conosceva il lavoro dell’altra. È stato uno scambio speciale, perché pur non avendo lavorato insieme, quando ci siamo trovate lì sembrava ci conoscessimo da millenni. Poi sì, in realtà nel mezzo c’è stata anche New York, con la proiezione, molto solenne, al Palazzo di Vetro dell’ONU. E poi ancora i giorni degli Oscar… Lì in più registe, a turno, siamo riuscite a presenziare e ritrovarci di nuovo: eravamo lì, tutte unite per sostenere questa canzone, molto rappresentativa… è il brano che è nei titoli di coda del film, che è anche il simbolo dell’unione tra tutte queste donne. Sì, questo film collettivo ha visto una collaborazione vera: tante volte si parla di collaborazione tra donne, ma stavolta lo è stata sul serio.

giovanna pasi

Giovanna Pasi
06 Settembre 2023

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