Che volto ha Maria Callas per una generazione che non l’ha mai vista eppure continua a sentirne l’aura mitica tramandata dalle generazioni precedenti? La prima risposta ha il nome di Monica Bellucci, volto mediterraneo, popolarità internazionale e protagonista-narratrice del documentario di Tom Volf Maria Callas, lettere e memorie – Monica racconta Maria trasmesso da Raiuno dopo la “prima” alla Festa del Cinema di Roma. Per Volf non è una novità il suo dialogo a distanza con la celebre soprano Maria Anna Cecilia Sofia Kalos, nata a Manhattan il 2 dicembre 1923, greca di famiglia (il cognome originario Kalogheropoulou fu cambiato dal padre quando si trasferì in America e poi ancora adattato a Callas all’anagrafe), naturalizzata italiana. Il regista le aveva dedicato un ritratto nel 2017, ha portato lo spettacolo teatrale con Bellucci sui palcoscenici di mezzo mondo fin dal 2019 e di recente ha firmato anche l’edizione restaurata del primo, trionfale, concerto di Maria, all’Opéra di Parigi, distribuito nelle sale da Nexo col titolo Callas – Parigi 1958.
Ma Callas è per tutti Callas oltre ogni evocazione e imitazione. Lo sguardo incendiario, il naso aquilino, i tratti inconfondibilmente ellenici, la classe altera attraversata da segreti timori e insospettabili fragilità, fanno di lei un mito persistente oltre la polvere del tempo. Solo Pier Paolo Pasolini riuscì a convincerla ad essere attrice di se stessa e ci volle l’intervento di Marina Cicogna, produttrice di Medea (1969), per convincerla a incontrare il regista-poeta. Ne nacque una passione reciproca che infranse ogni barriera: lei si sentì irresistibilmente attratta dall’uomo e dal poeta, lui dal dolore segreto della diva. Il racconto delle giornate trascorse dai due nella laguna veneta a bordo della barca del pittore Giuseppe Zigaina, oggi orgogliosamente ribattezzata Edipo Re, è diventato leggenda. Nel fitto carteggio, affettuosamente amicale, che i due si scambiarono fino alla morte del poeta, Pasolini scrive tra l’altro: “Tu sei come una pietra preziosa che viene violentemente frantumata in mille schegge per poi essere ricostruita di un materiale più duraturo di quello della vita, cioè il materiale della poesia”.
Di quest’incontro all’incrocio di due momenti cruciali delle rispettive vite – lui alla ricerca di una nuova prospettiva politica e artistica, lei alla ricerca di un rilancio dopo la separazione con Onassis – rimane solo la folgorante trasposizione della tragedia di Euripide. Ma sullo schermo il fantasma della Divina sopravvive ad ogni tentativo: Fellini ne fa un ectoplasma, un culto che simboleggia il secolo in E la nave va (1983), Franco Zeffirelli la reincarna in Fanny Ardant per il suo romantico Callas Forever” che tradisce l’intima sudditanza del regista verso la cantante indissolubilmente legata ai suoi successi in teatro, Giorgio Capitani, con l’eleganza del suo artigianato televisivo, arruola Luisa Ranieri per la miniserie Callas e Onassis. La prossima volta toccherà ad Angelina Jolie, diretta dal cileno Pablo Larrain che in biopic sembra essersi specializzato e già ha illustrato la “rivale” Jacqueline Kennedy. Il suo “Maria” è ancora avvolto dal segreto, ma riguarderà soprattutto il declino della Divina, negli anni parigini in attesa della morte, avvenuta nel suo appartamento al 36 di Avenue George Mandel il 16 settembre 1977, intorno alle 13:30. Il referto medico indicò l’arresto cardiaco come unica causa del decesso, smentendo da subito le voci di suicidio, nonostante facesse ormai da tempo uso di farmaci sempre più potenti contro l’insonnia. Negli ultimi anni intorno a lei si era fatto il deserto: l’ultima tournée concertistica si era conclusa nel 1974 segnando anche la fine della sua amicizia con il tenore Giuseppe Di Stefano; erano morti il padre e il suo pigmalione musicale Tullio Serafin. Nel ’75 si spense l’amato Aristotele Onassis e, a novembre, venne ucciso Pier Paolo Pasolini. L’anno seguente se ne andò Luchino Visconti, impareggiabile regista di molti successi della Divina alla Scala. Nella grande casa restavano solo donne (la madre, la sorella, la “dama di compagnia” Vasso Devetzi, la fedelissima cameriera Bruna) e l’autista Ferruccio. Tra specchi velati e notti insonni, l’icona musicale del Ventesimo Secolo era in realtà rimasta sola da troppo tempo.
È un curioso anniversario quello di Maria Callas: melomani e studiosi hanno passato gli ultimi anni a notare come l’unicità della cantante andasse di pari passo con molte imperfezioni della sua tessitura espressiva cui sopperiva con un’originalità interpretativa che la faceva “regina” ogni volta che vestiva i più diversi personaggi del melodramma riscattando così i difetti del Belcanto per superare ogni altra, a cominciare dalla sua grande “rivale” storica, Renata Tebaldi. Invece è proprio la sua presenza scenica ad alimentare il culto cinematografico della Divina. È bastato un solo film per farne una leggenda, è servita la sua vita sentimentale “da cinema” per collocarla nell’empireo delle grandi passioni da schermo, è stata la sua vita sfavillante e dolorosa a diventare specchio di un’emozione che va oltre l’immagine, oltre la voce, oltre il teatro. Ti piace l’opera? chiede Andrew Beckett (Tom Hanks) al suo avvocato Joe Miller (Denzel Washington) in Philadelphia” di Jonathan Demme. Qui partono le note dell’”Andrea Chenier” con la voce di Maria Callas. E quei brevi momenti trasformano il film e l’amicizia dei due personaggi. Ecco, anche questo è stata la Divina: un mito che riverbera la sua luce oltre i confini della musica, il suono di un’epoca.
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