Margarethe Von Trotta: “Medioevo femminista”


Non ha ancora una distribuzione italiana, Vision, il film di Margarethe von Trotta, in concorso al Festival di Roma, ispirato alla straordinaria figura di Hildegard von Bingen, la suora e mistica medievale (1098-1179): scrittrice, musicista, scienziata, drammaturga, esperta di medicina naturale e consigliera politica di Federico Barbarossa. Fin dalla più tenera età ebbe visioni e premonizioni affidate ai suoi numerosi scritti. La regista tedesca di Anni di piombo e Rosenstrasse, la racconta in un film lontano da ogni agiografia, che si affida all’interpretazione di una attrice sperimentata come Barbara Sukowa. Vediamo Hildegard condotta dalla madre nel monastero benedettino a 8 anni, istruita da Jutta von Sponheim, una seconda madre che alla sua morte le lascerà il ruolo di badessa. La combattiva suora “riforma” la regola del convento, affermando una concezione meno punitiva (elimina le flagellazioni e il cilicio) e diffondendo un’idea olistica dell’essere umano. E’ osteggiata dalle gerarchie ecclesiastiche, rigidamente maschili, ma riesce ad aprirsi un varco, trovando appoggio presso Bernardo di Chiaravalle, e ottiene il permesso di dettare le sue visioni al prete Volmar, quindi di fondare un nuovo convento.

 

Considera Hildegard una rivoluzionaria, una Rosa Luxemburg del Medioevo?

E’ certamente una rivoluzionaria per noi, ma lei non si sarebbe mai definita tale. Certo, se fosse nata molti secoli dopo avrebbe potuto essere come Rosa Luxemburg, ma si vive sempre nel proprio tempo. Chi avrebbe scelto di nascere in Germania durante il nazismo? Eppure a me è accaduto, e poi devi fare i conti con la tua epoca. Hildegard è stata un modello per le femministe che negli anni ’70 cercavano figure del passato a cui ispirarsi. E la prima idea di questo film mi venne proprio nei primi anni ’80, subito dopo Anni di piombo, direi. Scrissi anche la prima scena, quella della notte prima dell’anno Mille, e della grande paura. Poi accantonai il progetto perché mi sembrò impossibile trovare i soldi per realizzarlo. Molti anni dopo l’ho ritrovato, come si ritrova un amore.

 

Cosa pensa delle visioni, dà una spiegazione razionale o ne accetta la dimensione mistica?

Il neurologo Oliver Sacks, nel suo celebre libro “L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello”, dedica un capitolo proprio a Hildegard e collega le sue visioni a un’emicrania molto forte o a qualche forma di epilessia. Ma lei era una donna del Medioevo, credente e immersa nella religiosità di quegli anni, nell’iconografia di diavoli e angeli. Nelle visioni, che aveva iniziato ad avere all’età di 3 anni, era improvvisamente trasportata in un altro mondo, pur restando perfettamente sveglia e cosciente. Se uno crede in Dio, crede che questo venga da Dio, se, come me, crede in quello che abbiamo dentro, pensa che sia un’espressione dei propri bisogni e desideri. Ecco che Hildegard ebbe una visione in cui Dio le chiedeva di spostare il convento a Rupertsberg, su Reno, in una zona molto meno periferica, al crocevia delle strade che venivano dal Sud, in prossimità di Magonza, sede di un arcivescovado importante, a contatto con il sapere del tempo e con le vie di comunicazione. Per lei il sapere e la conoscenza erano molto importanti, e dunque affidò alle visioni la sua esigenza di essere più vicina al centro del mondo.

 

Hildegard riuscì a ottenere un riconoscimento in un mondo dominato da poteri maschili e in cui le donne non avevano “voce in capitolo”.

Aveva un grande talento di scrittrice e anche di diplomatica. Così, quando le sue visioni vennero messe in discussione come emanazioni del maligno, decise di scrivere a Bernardo di Chiaravalle, l’uomo più potente dell’epoca, anche più potente del Papa. Scrisse una lettera piena di umiltà, in cui si definiva una povera donna ignorante. Mise in ombra la sua luce, per ottenere quello che voleva. In un tempo in cui le donne non avevano diritto di aprire la bocca, lei ebbe il coraggio di dire “Dio lo vuole attraverso di me”.

 

Qual è la modernità di Hildegard?

Innanzitutto la sua passione per la medicina olistica, l’idea che si debba guarire l’anima prima di curare il corpo. Quindi il pensiero che gli elementi, se non rispettati, possano ritorcersi contro di noi, un tema che oggi è molto pressante perché l’uomo rischia di distruggere la natura con suo comportamento. Infine il suo rapporto con il potere politico, in particolare con Federico Barbarossa, che la volle come consigliera, e a cui lei suggerì di essere giusto e non solo avido di potere e ricchezza. Questa è una raccomandazione che andrebbe fatta ogni giorno ai politici.

 

Ha mai pensato di mettere in scena anche le visioni?

Sì, ci ho pensato, ma era molto difficile trovare un linguaggio contemporaneo per esprimerle. Avevo paura di essere kitsch o patetica. In un documentario avrei mostrato i disegni e i dipinti che vennero fatti all’epoca, per il film avevo pensato di usare le immagini di un videoartista, il marito di Barbara Sukowa, ma non potevamo permettercelo e allora era meglio farne a meno. Ho mostrato solo la prima visione, quella in cui Hildegard riceve il compito di scrivere da una grande luce che viene dal cielo, come lei la descrive.

 

Il film parla anche della relazione tra Hildegard e le altre donne, in particolare due. La sorella Jutta, che viene cresciuta in convento insieme a lei, e la nobile Richardis von Stade, con cui si crea un legame strettissimo che poi sarà interrotto quando la giovane si trasferisce, per volere della famiglia, in un convento a Nord di cui diventa badessa…

Jutta è un personaggio che mi è stato suggerito da un’amica medievista, che ipotizza che Hildegard sia stata allevata insieme a una coetanea che si chiamava Jutta come la loro madre adottiva. Richardis invece è un personaggio reale e documentato dagli epistolari. Quando le due donne vennero divise, Hildegard divenne quasi pazza di dolore, scrisse molte lettere, persino al Papa. Non credo che ci fosse una relazione lesbica, anche se avrebbe reso il film più commerciale. Credo che fosse, come lei stessa disse, una figlia e una madre allo stesso tempo. Un legame ancor più profondo, specie per una bambina che era stata separata molto presto dalla madre per entrare in convento e che poi aveva perso anche la seconda madre, che era morta.

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21 Ottobre 2009

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