MARCO TULLIO GIORDANA


Sarà l’Heimat italiano, La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana? Un fluviale – quattro film per una durata totale di quasi sei ore – affresco che racconta le scelte contrastanti di due fratelli torinesi (uno è Luigi Lo Cascio) e quarant’anni di storia italiana attraversata da emozioni politiche, esistenziali e sociali. Prodotto da Angelo Barbagallo, realizzato per la tv, mai messo in onda da Raiuno per motivi non del tutto chiariti, a Cannes troverà una vetrina internazionale importante (la prestigiosa sezione ufficiale Un Certain Regard, che quest’anno schiera autori come Arnaud Desplechin, Murali Nair e Jafar Panahi) e quasi certamente la strada spianata per una distribuzione (non ovvia) nelle sale a tre anni dall’avventura dei I Cento passi.

Dunque “La meglio gioventù” come “Novecento” di Bertolucci?
O come La tigre di Eschnapur di Fritz Lang, se si vuole. Sei ore che, come credo, divideremo in due atti.

Uscirà nelle sale quindi?
Molto dipende da Cannes. Su un film di sei ore pesano certi sospetti: sarà troppo lungo, sarà noioso? Non credo lo sia, ma siamo ancora in trattative per trovare una distribuzione.

E’ un film Rai, sarebbe naturale che lo prendesse la 01…
Sarebbe bello. Vedremo.

La decisione di Raiuno di far slittare la messa in onda adesso si rivela una scelta fortunata.
Di quella vicenda non voglio parlare, lo farò a Cannes.

“I cento passi” ha iniziato il suo percorso internazionale, arrivato a sfiorare l’Oscar, da Venezia, un festival a cui sei molto legato… Con Cannes, invece, che rapporto hai?
A Venezia sono stato quattro volte, a Cannes una sola, sempre in Un Certain Regard, col mio primo film, Maledetti vi amerò. Era il 1980, sono passati un sacco di anni, ma è stata una cosa importante.

Cosa pensi del festival di Cannes in generale?
E’ un festival pieno di cose nuove, interessanti, aperto a 360 gradi sul cinema mondiale. Un’occasione per vedere film diversi da quelli che faccio io, per incontrare paesi, lingue e culture differenti: questa è la forza del cinema rispetto ai libri.

Tra gli italiani, sarai in compagnia di Avati e Moretti…
Mi fa piacere, sarò in buona compagnia. E non mi riferisco solo agli italiani.

“La meglio gioventù” lo consideri un film politico?
Assolutamente no. È una definizione che detesto. La meglio gioventù racconta gli ultimi quarant’anni di una famiglia, in particolare due fratelli, e si concentra sulle relazioni tra i personaggi. La politica c’entra come entra nella vita di tutti noi.

Come lo definiresti, allora?
Un grande romanzo. Rispetto alla dimensione del film normale, di un’ora e mezza o due, la dilatazione del tempo consente di raccontare tante storie in parallelo. Come in un grande romanzo, appunto.

Il titolo viene da un verso di Pasolini.
E’ il titolo di una raccolta di poesie friulane di Pasolini e viene, a sua volta, da una canzone degli alpini che dice “Sul ponte di Perati, bandiera nera, la meglio gioventù va sottotera”.

Cos’è per te la gioventù, un’epoca di fioritura da mitizzare o il tempo del travaglio e dell’indeterminatezza?
“Avevo vent’anni, non permetterò mai a nessuno di dire che questa è la più bella età della vita”… diceva Paul Nizan. Certo, retrospettivamente, a 40-50 anni, sembra bella, la gioventù. Ma è un’età in cui ci si sente imprecisi, fuori fuoco.

autore
23 Aprile 2003

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