“A Cannes avrò avversari temibili, perciò non aspettatevi niente per non tornare a casa delusi”. Così Marco Tullio Giordana, unico italiano in concorso con Quando sei nato non puoi più nasconderti. Un ritorno molto atteso sulla Croisette dopo il grande successo al Certain Regard del suo La meglio gioventù. Le attese, anche internazionali, sono grandi per questo film, che ha già distributori inglesi e francesi, e che condivide con quella emozionante saga gli sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia e anche parte del cast (Alessio Boni, Adriana Asti, Andrea Tidona, cui si aggiungono Michela Cescon, Rodolfo Corsato e il giovanissimo Matteo Gadola). Prodotto da Cattleya e Rai Cinema, Quando sei nato… uscirà in Italia il 13 maggio mentre al festival passerà il 15.
Sandro, il giovane protagonista del film, è un ragazzo benestante che all’improvviso cade in acqua e si ritrova su una carretta del mare, ripescato da un ragazzo romeno…
Quel bambino di 12 anni diventa uno di loro. E’ figlio del benessere in una città del Nord, conosce e vede tanti stranieri a scuola o nella fabbrichetta del padre. Ma non era mai entrato in relazione con loro fino al momento in cui gli ridanno la vita e una seconda educazione, molto più elementare e terribile, condividendo con lui una coperta stracciata e una mela marcia.
E’ vero che ha deciso di cambiare il finale, scegliendo una soluzione sospesa e non tragica.
Avevamo scritto un finale in cui il ragazzo romeno veniva ucciso dalla sorella, dopo una collutazione con Sandro, ma era troppo dimostrativo e quasi teologico, avrebbe trasformato il film in un noir. Quello che succede ora è interno ai personaggi, non legato a gesti eclatanti. Agli adolescenti possiamo solo chiedere di ribellarsi, poi siamo noi adulti a dover trovare delle soluzioni. Ma almeno lasciamo la speranza che il mondo possa essere salvato dai ragazzini…
Oltre a Elsa Morante, sono molte le ascendenze letterarie del film: da Kipling a Stevenson, senza contare il libro di Maria Pace Ottieri da cui ha preso il titolo.
Il libro di Maria Pace, che è un reportage narrativo sui clandestini in Italia, da Lampedusa a Gorizia, mi ha suggerito qualcosa di più del titolo (che racchiude la saggezza africana in un proverbio che è anche il nome di un uomo): in quel libro c’è lo sguardo che ho prestato a Sandro. Gli stranieri non sono statistiche ma persone, come anche i sacerdoti, i poliziotti, le guardie costiere, i tanti che abbiamo incontrato nei centri d’accoglienza che ora si chiamano, con un curioso ossimoro, centri di permanenza temporanea. Tra le altre suggestioni, L’isola del tesoro è uno dei miei libri preferiti, Capitani coraggiosi invece non posso citarlo perché è sotto diritti ancora per due anni e i produttori mi sgridano… Ma insomma, come quei romanzi di formazione, considero questo film un dramma avventuroso.
Perché ha scelto Brescia?
E’ una città dove l’immigrazione si è proposta prima che altrove e la presenza degli stranieri non viene più sentita come abusiva come in altre città italiane. Io sono di Crema e conosco quella provincia, magari non mi piace sempre, ma la rispetto e la guardo con amore, perché altrimenti non potrei raccontarla.
Giustifica in qualche modo la paura verso gli immigrati?
Non la trovo inammissibile e nel film non ho nascosto che tra gli stranieri ci siano anche dei criminali. Ma questo pericolo non deve farci chiudere. Non si tratta di respingere né di accogliere ma di integrare: dare e ricevere.
Qual è stato il primo nucleo narrativo ed emotivo del film?
La voglia di raccontare il presente dopo tre film sugli anni ’70 come Pasolini, I cento passi e La meglio gioventù. Quegli anni sono fondamentali per capire l’Italia di oggi, ma a questo punto volevo occuparmene direttamente.
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