MARCO SIMON PUCCIONI


Raves illegali, centri sociali, culture underground. Luoghi di resistenza e creatività. Sono gli ambienti esplorati da Marco Simon Puccioni in Quello che cerchi, opera prima nelle sale il prossimo 7 giugno e unica pellicola italiana in concorso al 50° Festival internazionale di Mannheim-Heidelberg (8-17 novembre 2001) e al Noir di Courmayeur (6-12 dicembre): al Noir Marcello Mazzarella si è aggiudicato il Premio Napapijri per l’interpretazione.
Autore di corti e documentari, Puccioni viene dalla Calarts, la scuola punto di riferimento per il cinema indipendente americano. E in omaggio a quella tradizione, preferisce definirsi “filmaker” più che “regista”. Il film è prodotto da Mario Mazzarotto per Intel Film con la partecipazione di Tele +. Attori protagonisti sono, oltre a Marcello Mazzarella nel ruolo dell’investigatore privato Impero, l’esordiente Antal Nagy nel ruolo di Davide, un vegan “straight edge”, parte dell’eterogenea galassia del movimento antagonista. Accanto a loro molti non-professionisti che nell’humus movimentista vivono per davvero.

“Quello che cerchi” potrebbe esser definito un film “ibrido”. Sei d’accordo?
ascolta la colonna sonora Sì. Tutto il film, in termini sia narrativi che tecnologici, è sintetizzabile nella formula “dal meticciato può nascere il nuovo”. Inizia come un noir che trascolora nel documentario e nel road movie, per poi proseguire con un’indagine sui rapporti umani. Ma è soprattutto un film esistenziale, anzi esistenzialista, sull’amore.
I cambi di direzione sono continui e producono un effetto di spiazzamento rispetto alle convenzioni tradizionali dei generi. Il tutto è amalgamato in un montaggio cui si alternano lento e veloce. I personaggi sono emblematici della situazione d’instabilità e di mutazione che viviamo, per questo sono profondamente contraddittori.
Fare un’opera prima ha un senso se si è spinti dalla ricerca di nuove strade e il mio sforzo principale è diretto alla ricerca dell’innovazione, in particolare quella linguistica…

Per questo motivo hai scelto di girare in digitale?
Quello che cerchi Sia io che Paolo Ferrari (il direttore della fotografia, ndr.) siamo degli sperimentatori. Dopo l’indecisione iniziale, abbiamo scelto il digitale. Ed è stato un bene, perché alla fine ci siamo ritrovati con circa 80 ore di girato da montare.
Abbiamo usato diversi formati digitali che corrispondono a differenti livelli narrativi. Ad esempio quello realista ha richiesto riprese in High Definition, che quasi non si distingue dalla pellicola, o in Digital Betacam. Poi c’è un piano “interiore”, mostrato con immagini alterate che corrispondono al senso di straniamento di Davide verso la realtà. In questo caso abbiamo girato in Dv Cam, un formato che permette uno stile di ripresa molto veloce, ma offre una qualità dell’immagine inferiore.
Il mio modo di far recitare gli attori si sposa bene al digitale perché do molto spazio all’improvvisazione. La pesantezza dell’apparato tecnico tradizionale condiziona i tempi della creazione, mentre le nuove tecnologie permettono più immediatezza creativa.

All’inizio del film Impero si definisce “un imprenditore dell’apparato di controllo”. I riferimenti ai sistemi di sorveglianza sono continui. Perché?
Nello scenario in cui si muovono i personaggi c’è una forte contrapposizione tra antagonismo giovanile e un complesso apparato di controllo. Tutta la nostra vita è ripresa dalle telecamere, sono sparse ovunque, dagli aeroporti ai supermercati.

Quello che cerchi Ci sono alcune analogie tra le tue immagini e quelle più drammatiche delle giornate di Genova….
Sì. Nel film c’è una scena che potrebbe ricordare l’uccisione del giovane Carlo Giuliani. Ma è del tutto casuale, perché le riprese sono finite molto mesi prima di quella tragedia. Non vorrei che qualcuno pensasse che ho voluto sfruttare quello che è successo a Genova. E’ come se fosse caduta la barriera tra realtà e immaginazione. Io stesso sono rimasto molto turbato.

autore
27 Novembre 2001

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