Dopo il successo ottenuto con Quello che cerchi, il regista Marco Simon Puccioni torna al documentario con il quale già in precedenza si era cimentato, insieme a Roberto Giannarelli, realizzando Everyday-Tutti i giorni, dedicato alla questione palestinese. Al momento è in fase di montaggio La fortezza vista dal basso, mediometraggio dedicato alle giornate fiorentine del Social Forum. Commissionato da Stefano Stefani direttore di Atelier distribuzione, Puccioni osserva da una posizione privilegiata la cosiddetta gioventù antagonista. Infine, è in dirittura d’arrivo un altro documentario, questa volta con ambizioni più artistiche, sulla compagnia teatrale La Fura dels Baus.
Cosa è accaduto dopo il consenso di critica e pubblico per Quello che cerchi?
Non posso negare di possedere una maggiore consapevolezza dei miei mezzi. D’altro canto ora si pone il problema di cosa fare: continuare per la stessa strada o percorrerne un’altra? L’obiettivo che mi prefiggo è di lavorare in perfetta autonomia, cosa non semplice. Sono disposto anche ad autoprodurre i film e a scriverli da solo, nel caso non si creassero relazioni virtuose con produttori e sceneggiatori.
Di nuovo alla prova con il documentario: una pausa di riflessione o la necessità di tornare a qualcosa di più realistico?
Fiction e documentari sono due percorsi paralleli. In qualità di presidente dell’associazione “Cinema senza confini”, mi sono posto l’obiettivo di confrontarmi con temi sociali e politici a me consoni e il documentario rappresenta la forma cinematografica ideale. Del resto in Quello che cerchi ho ripreso molto del mio repertorio da documentarista. Ora non so se nel prossimo film seguirò lo stesso percorso e se girerò in digitale.
Un documentario sul Social Forum di Firenze, non corri il rischio di omologarti ad altri progetti affini?
Quando mi è stato commissionato il documentario sul Social Forum di Firenze, da subito ho pensato a qualcosa di originale che non riproponesse le immagini e i contenuti riportati dai media. Un po’ come è accaduto per Everyday, dove io e Giannarelli abbiamo puntato sulla quotidianità della vita in Palestina. Ho cercato di mettere in risalto le individualità che danno vita al movimento, anche perché a Firenze, al contrario di Genova, tutto si è svolto pacificamente e in modo meno ‘spettacolare’. Al di là di ideali condivisi da tutti (pacifismo e contestazione alle politiche liberiste), ogni singolo individuo o associazione è portatore di istanze particolari, a seconda del lavoro che svolge, della matrice culturale o del paese di provenienza. L’esempio più illustre è quello di Gino Strada che da medico opera nelle zone di guerra. Mi è difficile fare un discorso unitario e ho preferito raccontare questa pluralità di storie diverse, perfino inconciliabili tra loro.
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