“Mio padre mi ha abituato al rispetto della verità, così in questa mia opera prima, PA-RA-DA, ho cercato di rispettare il più possibile la verosimiglianza”. Marco Pontecorvo, alle spalle una carriera di direttore anzi di autore della fotografia, termine che preferisce, non ha mai dimenticato una volta sul set questo consiglio di un regista così autorevole come il padre Gillo.
Un desiderio di verità e realtà che ha voluto ricercare nell’autentica e singolare storia d’amicizia tra un giovane clown di strada e una banda di ragazzini, fuggiti dagli orfanotrofi o da famiglie povere, che vivono nel sottosuolo di Bucarest tra furti, accattonaggio e prostituzione. Nella Romania post-dittatura di Ceausescu, il giovane Miloud Oukili tenta un’impresa disperata: stabilire un contatto con quei bambini insegnando loro le tecniche circensi, prologo di un’esistenza diversa e dignitosa.
Il risultato finale sarà uno spettacolo nella piazza principale di Bucarest e poi la nascita di una compagnia circense in giro per l’Europa come testimone di solidarietà e speranza. Il film prodotto da Rai Cinema e Panorama Films, con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha come protagonista Jalil Lespert, già visto e apprezzato in Risorse umane e Le passeggiate di Campo di Marte. PA-RA-DA sarà nelle sale italiane dal 19 settembre distribuito da 01.
Il suo film è una storia drammatica e fiabesca al tempo stesso?
Assolutamente, così come è stata la mia prima impressione quando ho letto questa vicenda su un giornale. Una storia che mi è sembrata subito affascinante che ha come protagonista un ragazzo di vent’anni come Miloud, ma nel film è un po’ più grande perché l’attore Jalil Lespert ha il volto di un 25enne. Una storia straordinaria perché il giovane clown franco-algerino, arrivato a Bucarest nel 1992 per rimanere solo un mese con il suo spettacolo circense che in patria aveva portato dentro gli ospedali, decide di rimanerci 12 anni, con l’intento di dare una chance a questi ragazzi che viveono nel sottosuolo di Bucarest. Miloud, oltre a uno spettacolo portato all’estero, ha creato un’associazione, ha salvato più di mille bambini dalla loro emarginazione. Nel dramma c’è dunque il sogno di questo uomo che è riuscito a riportare alla luce tanti ragazzi.
Una vicenda ricca di tanta umanità, in tutti i sensi.
Mi sono piaciuti l’amicizia e la forza di questo amore che hanno ridato vita a questi giovanissimi. E ha ridato forza anche anche a un uomo come Miloud, che ha fatto tutto ciò anche per se stesso. Ha lasciato la vita parigina perché aveva bisogno di crescere, realizzando qualcosa di grande. Quel che avviene è uno scambio, e Miloud non è un santo, è anche lui un uomo con i suoi difetti e errori.
La più grande difficoltà nell’esordire come regista?
Non ce n’è una in particolare, PA-RA-DA è stata un’opera prima complessa in tante fasi di lavorazione, già dall’inizio quando dovevo reperire e mettere insieme il budget. Dal 2001, quando ho scritto le prime pagine del soggetto del film, sono passati sei anni prima della sua realizzazione. La produzione stessa è stata difficile, perché non si trattava di un film ricco. E poi, nonostante la Romania di oggi sia molto cambiata, io ero comunque un italiano che metteva il naso in casa loro. Le difficoltà hanno accompagnato tutto il percorso del mio film, ma in fondo l’hanno anche aiutato perché è stato il frutto di uno sforzo enorme della troupe intera, che ci ha creduto.
Anche difficoltà burocratiche?
Sì. Per un mese e mezzo durante la preparazione del cast ho visitato orfanotrofi e solo una settimana prima del ciak abbiamo avuto il permesso di lavorare con i bambini scelti, ma concedeva solo due ore al giorno, dunque un tempo impossibile per girare un film. Per fortuna l’associazione di Parada ci è venuta in soccorso fornendoci dei bambini sotto la sua tutela, per i quali ha garantito. Altri ragazzini li abbiamo trovati visitando tante scuole durante un’ulteriore settimana di casting non prevista. Abbiamo così cominciato a girare con i ragazzi più grandi, ma nel frattempo la ricerca degli ultimi interpreti.è andata avanti ancora per altri 3/4 giorni.
Non è stato semplice far recitare questi ragazzi?
Ho cercato giovani di scuole di periferia che assomigliassero il più possibile nei gesti e nelle espressioni a questi ‘abitanti dei canali’, i ‘boskettari’. Dovevano gesticolare, muoversi e guardarsi come loro. Per fortuna lavoravano con me alcuni dei ragazzi dell’associazione Parada che già conoscevo, perché prima del progetto filmico ero stato diversi giorni a contatto con gli assistenti sociali. Così ai ragazzi scelti nelle scuole ho detto di osservare come si comportavano i ‘boskettari’. Anche nei momenti di pausa li obbligavo a guardare i loro coetanei e alla fine si sono integrati e mimetizzati.
Come mai non ha scelto Miloud come protagonista del film?
In verità è stata la prima cosa che ho pensato, ma sono contento che non sia accaduto. Innanzitutto non se la sentiva lui, tant’è che subito mi ha detto che non sarebbe riuscito a interpretare se stesso: “Ho dieci anni di più oggi, sono cambiato, se proprio non trovi nessuno allora posso ripensarci”. E’ andata invece bene che si ricreasse un clima tra nuovi interpreti, anche se poi nel film ci sono due ragazzi che hanno vissuto allora sedicenni quella storia vera e qui invece ricoprono il ruolo dei grandi, degli outsider del gruppo. Il rischio con il vero Miloud era di avere qualcosa di artefatto, senza di lui siamo stati invece costretti a rivivere tutti insieme la condizione e le dinamiche di allora per ottenere spontaneità e freschezza.
E Miloud non è mai venuto sul set?
No, tranne che per la scena finale a Parigi. Il suo aiuto è stato prezioso per la coreografia dell’immagine, poiché da esperto da circo mi ha aiutato a realizzare alcune mie idee.
Perché questo titolo spezzettato?
Intanto è il nome dell’associazione che significa “parata”. E poi una scena del film, in cui i bambini scandiscono questa parola, mi ha convinto a abbandonare il titolo provvisorio Clown e i ragazzi…, che non mi soddisfava. Questo titolo così sillabato era il più corretto e intrigante, perché il film non è solo la storia di un clown o di questi ragazzini, ma di una speranza e di un sogno. Ed è anche un titolo più enigmatico, che mi consentiva di non dire troppo.
Perché non ha firmato la direzione della fotografia?
Non me la sentivo di ricoprire contemporaneamente due ruoli, sia perché debuttavo nella regia, sia perché trovavo corretto che ci fosse un’altra persona come autore della fotografia, lo scambio di esperienze in un film è molto importante. E a Vincenzo Carpineta ho detto che non avrei voluto fare un film decolorato in quanto drammatico, così abbiamo fatto dei provini sul colore per evitare il cliché.
Ha girato in 16 mm?
Passando poi al 35 mm attraverso il digitale intermediate, e tutto macchina a mano o teleobiettivi quando non era possibile. In fondo è stata una scelta ideologica, non volevo entrare prepotentemente nella vita dei ragazzi.
L’attrezzatura 35mm è tutta più grande, mentre girando con due cineprese leggere ho voluto osservare le loro dinamiche, senza interferire troppo nei meccanismi del cinema che avrebbero forse distrutto la loro naturalezza.
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