Quando si dice un nome un destino. Marco Pagot non poteva che diventare una figura di riferimento dell’animazione italiana. Cresciuto in mezzo ai disegni animati di Cocco Bacillo, Fantasma, e Calimero, creati nello studio fondato dal padre Nino e lo zio Toni, fin da piccolo prende parte ai primi caroselli e sogna di diventare un animatore. Quando per caso un collaboratore dello studio Pagot si ammala lui, all’epoca tredicenne, lo sostituisce dimostrando al padre che ha la stoffa giusta. E’ l’inizio di una strabiliante carriera che lo vedrà collaborare addirittura con Hayao Miyazaki, il maestro dell’animazione giapponese che anni più tardi, in segno di stima e amicizia, darà il suo nome al protagonista di uno dei suoi lungometraggi, Porco Rosso. A capo ora della rifondata Pagot, oggi Rever, l’animatore si appresta a ricordare il centenario della nascita del padre Nino con un volume sulla sua attività e un lungometraggio che arriverà in sala per il 2010. CinecittàNews lo ha incontrato ad Alice nella città , la sezione dedicata al cinema per ragazzi del Festival Internazionale del Film di Roma, che si è aperta e chiusa con due appuntamenti omaggio all’animazione italiana.
Quest’anno cadono due importanti anniversari per il mondo del disegno: quello, come detto, legato alla nascita di suo padre e quello della genesi del cartone animato. Cosa farete per festeggiare al meglio queste ricorrenze?
Avevo pensato ad una mostra che contemplasse tutta l’attività di mio padre ma qualcosa non è andata come doveva, perciò insieme a Fulvio Fiori abbiamo curato un volume che raccoglie la sua vita e le opere. Insieme a tavole, schizzi e fotografie ci sono curiosità e aneddoti sugli studi Pagot e la loro attività. E’ sicuramente un modo piacevole di rincontrare una serie di personaggi: dalle donnine stilizzate a Calimero, passando per i Fratelli Dinamite e i personaggi di Hanna e Barbera, che noi eravamo gli unici nel mondo a poter disegnare su autorizzazione dei creatori. Il libro si chiama “The Art of Pagot” ed è edito dalla BD. Uscirà nei negozi a fine novembre, inzio dicembre, ma il bookshop dell’Auditorium lo vende già in anteprima.
Com’è l’infanzia di un bimbo che può chiedere al padre di disegnare tutte le storie del mondo?
Magica! Vivevo con un uomo profondamente immerso nel suo lavoro. Era uno che se aveva un’idea alle 3 di notte, svegliava mia madre per raccontargliela. E se guardava la televisione non dimenticava mai di prendere il blocchetto degli appunti: non sai mai quando può venirti l’ispirazione.
E suo zio com’era?
Molto più inquadrato. Lavorava tanto ma quando si chiudeva la porta di casa alle spalle tornava alla sua vita quotidiana, lasciando l’animazione e i suoi personaggi fuori.
Ha capito molto giovane di voler seguire le orme paterne. Qual è stata la reazione dei suoi genitori e che tipo di percorso ha fatto per arrivare dov’è oggi?
Fin da piccolo curiosavo negli studi e scarabocchiavo qua e là, ma quando ho realizzato che animare era ciò che volevo, mio padre mi ha fatto fare tutta la gavetta completa. Il mio cognome non aveva importanza, anzi. Era solito dire che nella vita se uno pretende di saper fare qualcosa deve anche essere in grado di dimostrarlo. Perciò dopo le medie ho iniziato a studiare per il liceo a casa, da solo, come privatista, per dedicare più tempo possibile al lavoro. Purtroppo mio padre è morto di lì a due anni e non ha potuto assistermi. E’ stata mia madre, che aveva un negozio di sartoria, a rinunciare alla sua attività per seguire me e mia sorella.
E come ha fatto a convincere un genitore così esigente di essere all’altezza?
E’ stato un caso. Un giorno un operatore verticale di riprese si è ammalato improvvisamente e io lo sostituii.
Cosa doveva fare esattamente?
Fotografare i vari disegni secondo gli ordini del regista.
Una decina di anni più tardi lei è arrivato in Giappone per supervisionare un progetto al fianco di un nome storico dell’animazione nipponica, Hayao Miyazaki.
Sì, la rai scelse la Pagot come unico studio in Italia in grado di confrontarsi con l’Oriente e i loro cartoni animati. Dovevamo realizzare una serie su Sherlock Holmes in coproduzione con la TMS di Tokyo. E’ stata un’esperienza straordinaria. Ma all’inizio le cose con Miyazaki non andarono molto bene: lui pensava fossi un ragazzino messo a capo del progetto solo grazie al nome che portava. Avevo solo 23 anni e lui era più vecchio di me. Non ne fu contento. Poi a poco a poco si accorse che capivo davvero quello che intendeva su disegni e lavoro e iniziò a rispettarmi. Ha anche chiamato Marco Pagot l’avviatore di Porco Rosso!
Che idea ha della produzione di oggi. Le piacciono le pellicole di Pixar &co.?
Apprezzo molto che uno come Miyazaki riporti in auge il disegno tradizionale con film bellissimi come Ponyo. Gli altri invece sono un po’ fagocitati dai tecnicismi o dalla voglia di far ridere: Pixar mi piace perché rivaluta i ritmi che sono l’a,b,c del mio lavoro. Una delle lezioni più difficili da apprendere per gli animatori consiste nell’imparare come far recitare un sacco di patate, vale a dire come rendere personaggi anche cose inanimate grazie al movimento. La lampada della Pixar mette in pratica questa lezione alla lettera. La DreamWorks invece ha un tratto più grezzo perché quello che gli importa davvero è l’ironia dei personaggi.
In casa nostra? Che pensa del fenomeno Winx?
Che applica alla perfezione il marketing all’americana ad un progetto animato, ma che per tematiche e stile è un prodotto lontanissimo da me.
Quando potremo parlare di un suo nuovo progetto?
Presto. Al momento la Rever è impegnata sul rilancio di Grisù, il drago sputa fuoco che voleva fare il pompiere. Partiamo con uscite cadenzate di libri e dvd editi sempre dalla BD e puntiamo ad un lungometraggio. S’intitolerà Draghetto e sarà una coproduzione italo-tedesca che arriverà nelle sale nel 2010.
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