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Marco Bellocchio è quasi turbato dall’accoglienza fortissima decretata al suo Buongiorno, notte alla Mostra del cinema. Un interminabile applauso sulle immagini dei funerali dello statista ucciso dalle Br che chiudono il film; una standing ovation all’ingresso del regista e degli attori nella sala delle conferenze stampa; commozione e discussioni appassionate ovunque; la bella lettera scritta da Giovanni Moro a Giancarlo Leone, amministratore delegato di Rai Cinema.
Ma l’autore dell’Ora di religione minimizza e soprattutto evita di dare interpretazioni politiche sulla vicenda che ha voluto restituire in chiave onirica e soggettiva concentrandola sui quattro brigatisti e soprattutto sulla donna del gruppo. Un gruppo di famiglia in un interno, le quattro mura piccolo borghesi del covo di via Montalcini dove per 55 giorni si consumò la prigionia del leader della DC. Sono poi le immagini di repertorio dei tg a restituire la tragedia collettiva, che coinvolse tutti gli italiani segnando profondamente la storia del nostro paese: la fine del sogno delle sinistre, per dirla con Bernardo Bertolucci.
E’ vero che considera “Buongiorno, notte” un film su commissione?
Sì, è stata Rai Cinema a chiedermi se volevo fare un film su Aldo Moro. Io ho accettato a patto di essere infedele. Altri hanno cercato verità storiche, a me non interessava indicare i responsabili, che so, nella Cia o nella P2 o nel KGB. Cercavo qualcosa che contraddicesse la fatalità tragica della vicenda. Così ho dato al personaggio di Maya Sansa la libertà di reagire, almeno nel sogno.
Personaggio ricalcato su quello di Anna Laura Braghetti.
Tra i tanti documenti il più utile è stato certamente il suo diario Il prigioniero, ricco di dettagli e di circostanze. E’ lei ad esempio a citare le Lettere dei condannati a morte della Resistenza, tema che poi ho ampliato usando anche le immagini di Paisà di Rossellini. Anche perché l’atrocità dell’assassinio a freddo di Moro mi fa pensare ai tedeschi che buttavano nel fiume i poveri partigiani. Poi nella realtà la Braghetti non si allontanò dalla lotta armata, anzi, un anno dopo fu lei a uccidere Bachelet.
Roberto Herlitzka è Aldo Moro senza cercare il calco dell’uomo storicamente esistito.
All’inizio di Moro si doveva sentire solo la voce, poi il personaggio ha preso corpo e spazio. Eppure Herlitzka non l’ha imitato, anzi. Per esempio ha mantenuto la sua inflessione settentrionale, mentre Moro era pugliese. In un certo senso, è diventato quasi un omaggio a mio padre, scomparso quando ero adolescente. Mi hanno chiesto spesso il perché dell’assenza del padre dai miei film… forse l’avevo dimenticato perché quella perdita era stata una catastrofe troppo grande.
Si sente critico verso il partito della fermezza?
Non ho tesi da dimostrare. Ricordo che l’omicidio di Moro mi sembrò un’azione di una ferocia folle e insopportabile. D’altra parte credo sia stato un errore politico lasciar uccidere così quell’uomo. Parlando col senno di poi sarebbe stato più forte cedere.
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