Marco Amenta: “La mafia come non l’avete mai vista”


Dopo Il fantasma di Corleone il documentarista Marco Amenta torna al grande schermo esordendo nel cinema di finzione con il lungometraggio La siciliana ribelle in concorso il 29 ottobre al Festival Internazionale del Film di Roma nella sezione ‘Alice nella città’. Liberamente ispirata alla storia vera di Rita Atria, la 17enne siciliana che decise di andare contro i dettami della sua famiglia mafiosa collaborando con il giudice Paolo Borsellino, la pellicola rompe completamente con il filone cinematografico sulla criminalità organizzata alla Padrino “che ha fatto l’errore di esaltare – a detta del regista – atteggiamenti e modi di pensare della cultura mafiosa. Uno sbaglio che si ripete ancora oggi con certa fiction tv che presenta boss e killer come figure da rispettare e emulare”.

 

La siciliana ribelle è un film che parla della mafia in modo diverso, secondo Amenta, e che racconta la storia di una ragazzina che ha saputo ribellarsi pur di trovare la propria strada. Coprodotto da Eurofilm, Roissy Film Paris, R&C Produzioni, in collaborazione con Rai Cinema e con il sostegno di Mibac, Regione Sicilia e Sicilia Film Commission, arriverà nelle sale con l’Istituto Luce tra gennaio e febbraio 2009.

Aveva già parlato di Rita Atria nel 1997 col documentario “Diario di una siciliana ribelle”. Perché di nuovo questa storia e perché ora?

Ho deciso di rielaborare questa vicenda allontanandomi dalla cronaca, per raccontare una storia universale, quella di una ragazzina che si ribella a qualcosa di più grande di lei. E’ una moderna Antigone che mette la sua morale al di sopra delle regole sociali dettate dalla mafia. Di base narro la vita di un’adolescente con le sue storie d’amore, le sue insicurezze e la sua ricerca di una vita normale. Quando si accorge che il mondo in cui è cresciuta è tutt’altro che dorato, rifiuta di sottostare, come invece hanno fatto la madre e la madre di sua madre, a quell’ambiente maschilista e omertoso e si batte per cercare la propria strada. E’ una storia necessaria specie in un paese come il nostro dove la cronaca quotidiana è dominata da fatti di sangue legati alle organizzazioni criminali.

Come ha affrontato il suo primo film di fiction?
Il film ha una struttura da thriller pur raccontando la vicenda di una giovane donna e dei suoi forti valori. L’ho scritto insieme a Sergio Donati, l’autore di C’era una volta il West. E’ una pellicola asciutta senza orpelli e con poca musica. Volevo distaccarmi dal documentario su Rita senza però scadere in quella fiction tv che esalta i mafiosi. In questi casi basterebbe un po’ di autoregolamentazione, non si può pensare che il malavitoso sia affascinante o un esempio da seguire. Anche per i personaggi ho evitato di rifarmi a modelli precisi evitando boss e poliziotti stereotipati.

 

La siciliana ribelle è coprodotto dalla Francia. Com’è nata questa collaborazione?
Il film ha un’interessante composizione produttiva che ricorda quella dei film che si realizzavano in Francia e Italia tra gli anni ’60 e ’70, come Il vizietto di Edouard Molinaro e Il disprezzo di Jean-Luc Godard. Nel nostro caso i francesi della Roissy, tra cui Jacques Bar celebre produttore de I vitelloni, sono entrati nel progetto fin dalle fasi della sceneggiatura e sono anche riusciti a strappare un contratto di preacquisto con Canal Plus, un’emittente tv che difficilmente compra opere non in lingua francese. Sono contatti che ho potuto stabilire anche grazie alla mia precedente attività a Parigi dove ho vissuto 10 anni e insieme a mia sorella Simonetta ho messo le basi per una casa di produzione. E’ una collaborazione che arricchisce il film anche dal punto di vista artistico con la presenza di Gerard Jugnot, l’attore de Les choristes-I ragazzi del coro nel ruolo del giudice antimafia. Da parte italiana, Tilde Corsi e Gianni Romoli ci hanno aiutato fin dall’inizio a realizzare al meglio un’opera prima con diverse location: Palazzo Adriano, Palermo e Roma.

Non è stato facile lavorare con un cast formato da un attore esperto come Jugnot accanto ai giovani Francesco Casisa e Veronica D’Agostino?

Gerard è il secondo attore più conosciuto in Francia dopo Daniel Auteuil ed è un artista che riesce a entrare e uscire dal personaggio con estrema facilità. Veronica e Francesco, rispettivamente Rita e il suo ragazzo Vito, invece si sono immersi nei loro ruoli abbracciando i personaggi completamente. A Palazzo Adriano, un paesino di 3mila anime vicino a Palermo, dove abbiamo girato parte del film, gli abitanti li trattavano come fossero Rita e Vito.

Francesco Casisa aveva già recitato in Respiro e Nuovomondo di Emanuele Crialese. Vi conoscete?
Sì e entrambi pensiamo che il cinema sia un’arma di riscatto. Francesco ne è un esempio: un ragazzo che grazie al lavoro di attore si sta lasciando alle spalle un futuro incerto in un territorio difficile. Per lo stesso motivo ho voluto che la maggior parte del cast artistico e tecnico de La siciliana ribelle fosse autoctono. Molti stanno imparando un mestiere e dopo il film hanno trovato un impiego in Agrodolce, la nuova soap della Rai ambientata a Palermo. Grazie al lavoro si acquisisce un’emancipazione che è fondamentale se non si vuole diventare schiavi della malavita.

Il film è stato selezionato da ‘Alice nella città’. Che messaggio vorrebbe mandare ai ragazzi?
Il cinema suscita suggestioni che spesso la famiglia e la scuola non riescono a dare alle giovani generazioni. Ricordo di essere stato stimolato più dalla visione di film come L’attimo fuggente e Nuovo Cinema Paradiso, piuttosto che da tante belle parole. Spero che, guardando la storia di Rita, i ragazzi capiscano quanto è importante mettersi in gioco e scegliere un destino tutto loro, soprattutto quando il futuro sembra già scritto o deciso da altri.

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08 Ottobre 2008

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