“La pax mafiosa fa comodo alla classe politica e all’opinione pubblica che, non leggendo nulla sui giornali, si illude che la mafia sia stata sconfitta. Parlarne allora è il primo modo per combatterla”. Marco Amenta, documentarista palermitano, racconta Il fantasma di Corleone, vincitore della menzione speciale della giuria al Premio Libero Bizzarri.
Il fantasma del titolo è Bernardo Provenzano, il ‘ragioniere’ latitante da ben 42 anni, mente criminale di ‘Cosa Nuova’, autore di quella politica di ‘alleanze’ che ha portato alla fine della ‘fase stragista’ di Cosa Nostra, dopo la cattura di Totò Riina. Il film, già passato ad Annecy Cinéma Italien con un discreto successo di pubblico, andrà questa settimana al Festival di Rio De Janeiro e al Festival di Cork. Realizzato in pellicola con 300mila euro da EuroFilm e Mediterranea insieme ad Arte, i tedeschi di ARD, CNC , Télévision Suisse Romand di Ginevra, il film è andato in onda sui canali francesi e tedeschi. Intanto il regista sta lavorando alla versione cinema di Diario di una siciliana ribelle, altro documentario da lui realizzato, vincitore tra il 1998 e il 1999 di 22 premi internazionali. Produrrà il film Tilde Corsi insieme con la Francia.
Perché parlare di Bernardo Provenzano?
Dopo aver realizzato Diario, docufiction su Rita Atria, la collaboratrice di giustizia morta suicida una settimana dopo la strage di via d’Amelio, volevo tornare a parlare di mafia. Provenzano, con la sua lunga storia di latitanza, è il simbolo perfetto di questa ‘cosa nuova’, una mafia che preferisce fare alleanze che uccidere.
La sua è una docufiction e non un documentario…
All’inizio mancavano testimoni chiave della lotta alla mafia, così insieme allo sceneggiatore Andrea Purgatori abbiamo optato per una sceneggiatura con molte ricostruzioni di fatti veri. Ho girato con gli attori Donatella Finocchiaro, Marcello Mazzarella, Mario Pupella e Vincent Schiavelli. Poi, quando ho ricevuto l’autorizzazione a intervistare Giuseppe Linares, il capo della squadra mobile di Trapani, ho dovuto sacrificare scene di fiction per tornare a una indagine dal taglio più documentario.
Il documentario si avvale di molte testimonianze…
Intervisto procuratori aggiunti del Tribunale di Palermo, Roberto Scarpinato e Guido Lo Forte, lo stesso Giuseppe Linares e il colonnello dell’arma dei carabinieri, Riccio. Si parla dei rapporti tra Cosa Nuova e politica. Scarpinato, Linares e gli altri sono tutti personaggi estremamente tragici. Questa gente convive con la consapevolezza quotidiana di poter essere assassinata.
Linares, parlando del suo mestiere, si sofferma sulla figura di Ettore e di Achille.
Secondo lui, il pubblico ama l’eroe solo fino ad un certo punto. In genere lo spettatore chiede che quello stesso eroe venga sconfitto, solo così può sentirsi vicino a lui, identificarsi con esso. Attraverso questa considerazione Linares cerca di esorcizzare la sua paura di essere fatto fuori o di essere messo da parte in altro modo. D’altronde anche il colonnello Riccio – qualche anno fa a due passi dalla cattura di Provenzano – dice: “Ci sono mille modi per azzittire una persona, l’omicidio è solo uno dei tanti”.
Il fantasma di Corleone è costruito secondo un stile alla ‘Michael Moore’…
La mia voleva essere una sorta di indagine intorno a Provenzano. Il rischio era quello di mitizzare questo personaggio, di per sé già molto misterioso. Così, attraverso l’inserimento del mio ruolo da regista e intervistatore all’interno della storia ho cercato di creare una sorta di contraltare.
Chi è Provenzano?
Uno che ha preso a malapena la seconda elementare, Provenzano ha seguito tutta la carriera di uomo della mafia. Da killer – all’epoca veniva soprannominato ‘u’ trutturi’ per la facilità con cui freddava le sue vittime – si è trasformato in uomo d’affari e poi stratega. Oggi per tutti è ‘il ragioniere’, ma Provenzano è anche un fantasma: si sa che c’è ma nessuno l’ha mai visto. Se uno riesce a essere latitante per 42 anni significa che viene appoggiato da una rete non di ‘insospettabili’, ma di ‘insospettati’.
Il pm Scarpinato dice che bisogna cominciare a considerare Provenzano come uno di noi…
La mafia in questo momento storico non è contro lo Stato ma, in un certo senso, con lo stato. La società civile è intrisa di mafia come una cellula tumorale all’interno delle nostre stesse cellule. Ultimamente assistiamo ad arresti di pezzi importantissimi dell’apparato investigativo dello Stato e della società civile.
Passiamo a “C’era una volta in Sicilia”, versione cinema di “Diario”. Il ministero, con delibera del 14 settembre, non ha ammesso il progetto al finanziamento per opere prime e seconde.
Tanto meglio, vorrà dire che torneremo a lavorare come si faceva negli anni ’70, con una vera coproduzione, dei rischi in più, l’obbligo di un confronto con il mercato internazionale che personalmente trovo più stimolante. Certo, la sceneggiatura di C’era una volta in Sicilia è stata scritta da Donati e Pirro, la produttrice è Tilde Corsi. Il ministero aveva ricevuto anche le lettere dal distributore italiano e dal venditore della francese Film Distribution. Non ho ancora letto la motivazione, ma questo rifiuto non me lo aspettavo.
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