CANNES – “Ho fatto questo film perché ero spaventato a morte dalla pagina bianca. Avevo promesso a François Truffaut di scrivere le mie memorie ma poi, proprio per questa paura, ho optato per un film”. A parlare è Marcel Ophuls, figlio d’arte del regista tedesco Max e autore, a sua volta di documentari. Tra cui il vincitore dell’Oscar 1989 Hotel Terminus. Ora lui, classe 1927, è sulla Croisette per presentare Un voyageur, memorie in forma filmica che rievocano una vita dentro e fuori il grande schermo.
Un film che arriva 18 anni dopo il suo Veillées d’armes e che consegna al pubblico la storia di una vita eccezionale, condotta per quanto possibile senza accettare compromessi. “Sono poco incline ad accettare i compromessi – spiega, in parte perché sono figlio di un genio. Ma la vita, con la telecamera o senza, è fatta necessariamente di compromessi. Alcuni buoni, altri cattivi. A cominciare dai soldi che servono per girare un film”. Nel suo Un viaggiatore, che lo ha portato a incontrare il pubblico della Quinzaine des Réalisateurs, si incrociano figure leggendarie come Jeanne Moreau, Bertolt Brecht, Ernst Lubitsch, Otto Preminger, Woody Allen, Stanley Kubrick e, naturalmente, l’amico François Truffaut. Un film che è una vera e propria scatola dei ricordi che rimette insieme un bel pezzo di storia del cinema e che per Marcel Ophuls è stato “un rifugio temporaneo dalla paura”.
Il regista ne approfitta poi per riflettere, insieme al pubblico, sulla sua eredità tedesca: “I miei genitori erano tedeschi, il tedesco è la mia madre lingua, è la mia cultura, e tranne i rari casi in cui ho avuto problemi con i ‘crucchi’, amo molto quel paese e i suoi cittadini. E trovo che questa specie di ‘germanofobia’ imperante in Francia, solo perché i tedeschi se la cavano meglio di noi, sia spregevole”.
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La redazione va in vacanza per qualche giorno. Riprenderemo ad aggiornare a partire dal 2 gennaio. Auguriamo un felice 2018 a tutti i nostri lettori.
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