Si tratta di un thriller, diretto da Stefano Lodovichi e strutturato in Trentino, che parte da una leggenda locale – l’arrivo, il 5 dicembre, dei Krampus, demoni della tradizione che vennero scacciati da San Nicola e ancora vengono celebrati da una spaventosa festa in maschera – e prosegue sul caso della sparizione e riapparizione di un bambino, con riferimenti tanto alla cronaca reale che a precedenti hollywoodiani come The Changeling di Clint Eastwood. Nel cast, tra gli altri, Filippo Nigro e Camilla Filippi. Dopo Il ragazzo invisibile e Lo chiamavano Jeeg Robot un altro riuscito tentativo di ridare lustro al cinema italiano di genere, come del resto la produttrice Manuela Cacciamani, con cui scambiamo due parole in occasione della presentazione stampa del film, aveva già avuto modo di fare in passato con Fairytale (girato a Latina) e Neverlake (ambientato in Toscana).
Come ha incontrato questo progetto e come è nata l’idea di realizzare un thriller?
Per me è nato da una telefonata dello staff di Nils Hartmann, direttore della sezione prodotti originali di Sky. Stavo andando a Venezia e mi hanno detto che voleva incontrarmi. Per me è stato fenomenale. Inizialmente l’idea era di girare un remake della serie francese The Revenant, perché aveva visto i miei lavori precedenti, realizzati a basso budget, e gli erano piaciuti. Sono stata io a proporre il regista Stefano Lodovichi. Questo progetto poi non è andato avanti, e si è trasformato in In fondo al bosco.
E’ stato complicato girare in Trentino?
Sì, ma devo dire che l’operazione è nata fortunata da principio, soprattutto per il coraggio degli investitori. In Italia è difficile trovare sostegno per il genere thriller e horror, specie se sei una casa piccolina e non hai vinto grossi premi. Anche Stefano ha avuto molto coraggio, riuscendo a fare tutto in quattro settimane con due ore di straordinario. E naturalmente anche grazie a Luca Ferrario e alla Film Commission, il cui apporto è stato fondamentale. Quando si ha un budget limitato bisogna fare molto leva sulle location, in passato ho usato Latina con le sue architetture fasciste, e la Toscana. E all’estero i miei film sono andati molto bene. Neverlake ha l’esclusiva per due anni di programmazione su Netflix USA. Credo che l’”esotismo” sia una componente importante dell’attrattiva.
Crede che si possa iniziare finalmente a parlare di rinascita del cinema di genere in Italia?
Credo che l’evoluzione sia naturale. Gli autori spesso si propongono già con questo genere di storie. Io volevo fare un film sui Krampus e Stefano aveva già un soggetto, ed essendo entrambi innamorati di quelle atmosfere ne abbiamo fatto un thriller che assumeva pian piano aspetti sempre più profondi. Solitamente si evita la fantascienza, perché tanto già si sa che non ci sono i soldi per realizzare buoni prodotti, ma per il resto mi arrivano molti horror e crime story, e il fatto che lo abbia voluto fare Sky mi sembra un segnale molto importante. A furia di insistere ce la faremo. Poi, se il pubblico sia pronto alla ricezione, non lo so. Ma sono sicura di aver realizzato un prodotto di qualità, e questo il pubblico lo pretende e lo deve avere. E’ un film low-budget ma non misero.
A proposito di Netflix, pensa che possa avere un ruolo importante nella diffusione di prodotti di genere realizzati in paesi che non siano gli USA?
Assolutamente sì, ma vale un po’ per tutte le nuove tecnologie. Pensi all’Oculus di Samsung, un dispositivo di realtà virtuale che proietta lo spettatore al centro dell’azione. Pensi sull’horror che sviluppi può avere, con i coltelli che ti sfrecciano direttamente accanto alla testa. Non si può più pensare esclusivamente alle sale, bisogna estendere la produzione anche ad altri media.
Ad esempio i videogiochi?
Ci stiamo pensando per il nostro prossimo progetto, che si chiama Pip Fischer and The Secret of Otzi e parla del risveglio della mummia del museo di Bolzano, di fronte a un bambino – è un film per ragazzi e famiglie, in questo caso – che asserisce di averla vista muoversi ma non viene creduto da nessuno. Il film parlerà del perché questa mummia è rimasta sotto la neve per 3.500 anni e del perché proprio l’incontro con quel bambino lo porti a risvegliarsi. Niente di documentaristico, naturalmente, però ci divertiamo anche a cercare delle spiegazioni per alcuni dettagli, ad esempio il fatto che gli sia rimasta dell’acqua nella pelle. Gli scienziati pensano che sia una casualità, ma noi abbiamo immaginato che ci fosse un motivo magico… E’ un concept che si può sviluppare anche in prospettiva edu-tainment, per portare i ragazzi a conoscere la storia del paleolitico, e perché no, un videogioco ci può stare bene, con la mummia e il ragazzino che hanno una missione da compiere. Il film è in sviluppo con Rai Cinema e la BLS, e stiamo pensando di lavorare anche su dei fumetti, in ottica trans-mediale.
Lei è anche CEO di Direct2Brain, che si occupa di effetti visivi digitali…
Certamente la cosa mi avvantaggia nel realizzare prodotti ricchi di questo tipo di contenuti. Per In fondo al bosco ne abbiamo usati tutto sommato pochi, è quasi tutto atmosfera reale, vento, nebbia e cielo tetro. Ma nei film precedenti l’ho usata molto di più. Comunque è tutto a vantaggio del budget, che in questi casi risulta tutto sommato contenuto.
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