VENEZIA – Curiosamente due film iraniani aprono due sezioni di questa Venezia 71: The President di Mohsen Makhmalbaf inaugura Orizzonti, mentre Melbourne darà il via domani alla Settimana della Critica. Quest’ultimo, opera prima del giovane Nima Javidi, che ha già trovato una distribuzione italiana con Microcinema, a dispetto del titolo è una storia “persiana” molto nel segno del cinema contemporaneo alla Ashgar Farhadi, puntata quindi sull’indagine dei sentimenti e dei rapporti di coppia. In questo caso quello di Amir e Sara, due giovani che, sul punto di partire per l’Australia, a poche ore dal volo, vengono involontariamente coinvolti in un tragico evento. Interpretato da Payman Maadi (già protagonista del film premio Oscar Una separazione) e da Negar Javaherian, entrambi al Lido anche per Tales di Rakhshan Banietemad, che passerà domani in concorso, il film è piaciuto alla Sic anche per il suo ritmo teso, quasi da thriller, “in cui la menzogna e il senso di colpa rischiano di segnare il destino di due esseri umani in procinto di cambiare radicalmente la propria vita”, come spiega il delegato generale Francesco Di Pace. Per il regista Javidi: “La parte più affascinante e terrificante dell’essere umano è la sua imprevedibilità, che si presenta nelle situazioni critiche e spesso ci sorprende”.
Fa parte invece della corrente “apolide” del cinema iraniano The President, girato in Georgia con soldi georgiani, francesi e britannici e con protagonisti georgiani (Misha Gomiashvili e il piccolo Dachi Orvelashvili) dall’espatriato Mohsen Makhmalbaf (Il silenzio, Viaggio a Kandahar). “Dal 2005 ho lasciato il mio paese per problemi politici: è molto difficile rinunciare alla propria patria, ma è impossibile essere un artista e non potersi esprimere. Un poeta senza poesia non è un poeta”, dice l’autore, al centro di una dinastia di cineasti di cui la più celebre è la figlia Samira. E prosegue: “Il cinema iraniano si è diviso in due. Da una parte ci sono quelli che vivono all’estero, come la mia famiglia o come Abbas Kiarostami, dall’altra parte coloro che sono rimasti in Iran o non riescono a fare film o finiscono in prigione, come è accaduto anche, di recente, alla collega Mahnaz Mohammadi“.
The President, che sembra debitore allo stile tragicomico di certo cinema della repubblica ex sovietica, è una fiaba politica ingenua e amara in cui vediamo il dittatore di uno Stato immaginario della zona del Caucaso che, rovesciato da una violenta rivolta dei suoi concittadini, fugge in incognito in compagnia del nipotino di 5 anni, facendo per la prima volta esperienza della spaventosa miseria in cui vive il suo popolo. “Quel personaggio – dice ancora Makhmalbaf – è la summa di tutti i dittatori che abbiamo avuto e che purtroppo avremo, alcuni dei quali, come Mubarak e Gheddafi, caduti durante la primavera araba, mentre molti altri sono ancora in sella. E’ gente terrificante, ma visti da vicino fanno tutti un po’ ridere con le loro beghe familiari e i loro vizi. Oggi assistiamo alle liti del dittatore dell’Uzbekistan con le sue figlie oppure leggiamo del re dell’Arabia Saudita che ha imprigionato la figlia in casa. La loro caduta è come quella di un dio che perde il potere e che ritorna nella condizione iniziale, perché da bambini tutti nasciamo innocenti. Caduto nell’inferno che ha costruito per il suo popolo, questo presidente torna pian piano ad essere un uomo anche a contatto con un bambino che torna a vederlo semplicemente come un nonno”.
Makhmalbaf che ha lavorato a tutte le fasi del progetto, dall’ideazione alle riprese, insieme alla sua famiglia, sposa la tesi pacifista con convinzione. “Se i tiranni dovessero rispondere alle domande dei propri nipoti, cosa potrebbero dire? Vorrei che tutti i dittatori del mondo vedessero questo film insieme ai propri bambini. Io parlo della violenza dei despoti, ma anche della violenza delle rivoluzioni. Perché quando i dittatori vengono cacciati si innesca una spirale perversa che spesso porta alla nascita di un’altra dittatura. La violenza partorisce violenza. E’ accaduto in Iran, in Iraq, in Siria. Gli uomini politici che sostengono la pace, come Gandhi e Mandela, si contano sulle dita di una mano, sono simboli di una cultura pacifista che dobbiamo far crescere e anche un film può servire allo scopo”. Non manca nelle sue parole un forte cenno personale: “L’espressione peggiore delle dittature è dividere le famiglie. In Siria 200mila persone sono state uccise, ma milioni di uomini e donne sono state divise dai propri cari, in Iran è accaduto lo stesso. Mia moglie non può tornare a Teheran da Parigi, dove viviamo, neanche ora che suo padre e sua madre in seguito a un ictus sono gravemente malati, i suoi genitori stanno morendo e lei non può vederli. L’Iran ha 4 milioni di dispersi nel mondo. Secondo l’Onu ci sono 50 milioni di profughi senza famiglia che provengono da tutti i paesi”.
"Una pellicola schietta e a tratti brutale - si legge nella motivazione - che proietta lo spettatore in un dramma spesso ignorato: quello dei bambini soldato, derubati della propria infanzia e umanità"
"Non è assolutamente un mio pensiero che non ci si possa permettere in Italia due grandi Festival Internazionali come quelli di Venezia e di Roma. Anzi credo proprio che la moltiplicazione porti a un arricchimento. Ma è chiaro che una riflessione sulla valorizzazione e sulla diversa caratterizzazione degli appuntamenti cinematografici internazionali in Italia sia doverosa. È necessario fare sistema ed esprimere quali sono le necessità di settore al fine di valorizzare il cinema a livello internazionale"
“Non possiamo permetterci di far morire Venezia. E mi chiedo se possiamo davvero permetterci due grandi festival internazionali in Italia. Non ce l’ho con il Festival di Roma, a cui auguro ogni bene, ma una riflessione è d’obbligo”. Francesca Cima lancia la provocazione. L’occasione è il tradizionale dibattito organizzato dal Sncci alla Casa del Cinema. A metà strada tra la 71° Mostra, che si è conclusa da poche settimane, e il 9° Festival di Roma, che proprio lunedì prossimo annuncerà il suo programma all'Auditorium, gli addetti ai lavori lasciano trapelare un certo pessimismo. Stemperato solo dalla indubbia soddisfazione degli autori, da Francesco Munzi e Saverio Costanzo a Ivano De Matteo, che al Lido hanno trovato un ottimo trampolino
Una precisazione di Francesca Cima
I due registi tra i protagonisti della 71a Mostra che prenderanno parte al dibattito organizzato dai critici alla Casa del Cinema il 25 settembre