CANNES – Albert Serra (nato in Catalogna nel 1975) è un autore molto amato dai festival. Con una formazione letteraria – studia di filologia e storia dell’arte – e un’opera prima che lo ha subito segnalato alla critica come Honor de cavalleria, del 2006, versione del Don Chisciotte, ha poi vinto il Pardo d’oro a Locarno con Història de la meva mort, nel 2013, e nel 2016 ha diretto Jean-Pierre Léaud in La Mort de Louis XIV. Ora approda nel concorso di Cannes con un altro film francese (e francofono) che potrebbe lasciare un segno nel palmarès: Pacifiction – Tourment sur les îles con protagonista Benoit Magimel.
Con uno stile del tutto personale, pittorico e ipnotico, costruito su spirali di lentezza e contemplazione, Serra si affida alle immagini potenti e stupende della natura in Polinesia, vedi la scena dei battelli portati dalle onde altissime, per mettere in scena un apologo sul potere e soprattutto sullo sfruttamento del potere a fini personali. Siamo nella Tahiti amata da Gauguin, la Polinesia francese, dove l’Alto Commissario della Repubblica di Roller, rappresentante dell’Esagono (Benoit Magimel, appunto) si muove tra silenzi e lunghi discorsi sempre abbigliato in un immacolato doppio petto bianco. Ci sono voci di esperimenti nucleari sull’isola e c’è il sospetto di un giro di prostituzione al servizio della Marina Militare. Il nostro uomo, come in una spy story a cui sia stata sottratta ogni trama, frequenta locali notturni inquietanti e serate torbide, dove una dj in topless amministra la musica ossessiva. Ragazze vengono portate forse su un sottomarino per soddisfare le voglie di clienti maneschi. L’ambiguità regna sovrana.
Per Albert Serra, che paragona la politica a una discoteca, “tra il mondo del potere e della gerarchia e il popolo non c’è alcuno spazio intermedio” e dunque il film vuole proprio mostrare, senza dimostrare, la mentalità colonialista in azione. Quanto a Benoit Magimel (premio per l’interpretazione a Cannes per La pianista di Haneke) lo ha voluto dopo averlo incontrato tre anni fa e di lui dice: “La sua è una performance complessa perché non si capisce mai bene che relazione abbia con gli altri personaggi”.
Con i suoi 164 minuti di durata, Pacifiction è destinato a diventare un cult per pochi eletti con la sua macchina da presa sensuale nel catturare corpi, paesaggi, sensazioni epidermiche, squarci di luce e di buio, esplorando regioni che confinano con l’indicibile in una messinscena che si muove tra il primo Wim Wenders e Delacroix.
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