‘M – Il figlio del Secolo’. Per Marinelli: “molto doloroso sospendere il giudizio su Mussolini”

Dal bestseller di Antonio Scurati, 8 episodi realizzati da Sky Studios e The Apartment, in collaborazione anche con Cinecittà, dove la serie è stata girata. Joe Wright firma la regia e Tom Rowlands - The Chemical Brothers la colonna sonora. La messa in onda su Sky e NOW nel 2025


VENEZIA –  “…mi avete amato follemente… come una divinità e poi mi avete odiato… follemente odiato… ma, ditemi, a cosa è servito? Guardatevi intorno, siamo ancora tra voi”. L’epifania, l’ascesa, la parabola dell’uomo e del politico Mussolini, e della Storia del Paese, che nel 1919 era reduce dalla Grande Guerra, e lì infatti germoglia il fascismo, sinonimo di “…sogni, ideali, coraggio, cambiamento…” secondo il Duce, interpretato da un ragguardevole Luca Marinelli in M – Il figlio del Secolo, serie in 8 episodi dal premiato bestseller di Antonio Scurati, in anteprima a Venezia81 e del 2025 in esclusiva su Sky e NOW.

M è monumentale, M è Marinelli, M è Mussolini, l’arcobaleno del suo ego, che serpeggia, sgomita, erutta: l’Io è un pilastro della narrazione, profondamente scritta e costruita sull’essenza di quell’uomo, motore gasato e annebbiato da sé, tutto al contempo. “Credo che per fare questo lavoro onestamente fosse importante sospendere il giudizio e, da antifascista quale sono, è stata una delle cose più dolorose fatte in vita, ma credo fosse la più onesta. Penso che usare un certo tipo di aggettivi, come ‘diavolo’ o ‘pazzo’, tenda a rendere ancor più pericolosi questi personaggi: certi aggettivi sono solo una maniera per tentare di allontanarli mentre io penso sia stato un criminale, che ha scelto di fare quello che ha fatto, e le sue tante sfaccettature mostrano che purtroppo sia realmente uno di noi”, commenta l’attore protagonista.

La vicenda storica viene messa in scena con un impianto sopraffino, raccontata con verità, mai scolastica e sempre dinamica, e un realismo che non esclude la violenza, “feroce, plastica, necessaria”, come la definisce Mussolini stesso, “il selvaggio” come lo chiama Margherita Sarfatti (Barbara Chichiarelli), amante e pigmalione: lì, in quel sostantivo sanguigno e istintivo, si sintetizza molto del Mussolini di Marinelli, che non mima il Duce, non fa il birignao, non è mai paradossale ma piuttosto verosimile, e lì, nella vibrazione dello sguardo, nella mimica delle pupille, nelle micro contrazioni del contorno degli occhi, in una luce oculare brillante e buia al contempo, l’attore esprime l’essenza barbara dell’uomo, l’impeto, l’irruenza, la fame di vita che cerca continuamente di sfamare l’ego.

“Ho capito anche che questo progetto potesse essere una maniera per prendermi una piccolissima responsabilità storica; ho avuto molti pensieri ma mi sono sentito sicuro che avrei fatto parte di un messaggio del quale mi sentivo di voler essere parte. L’importanza sta nel far arrivare il progetto: tutti noi, io compreso, abbiamo una gigantesca ignoranza, non abbiamo fatto i conti col passato, che si ripresenta: c’è, dunque, l’importanza sociale e politica del sapere, dello studio, dalla scuola in poi; bisogna conoscere la Storia e usare la cultura, per non sottovalutare nulla, perché ci sono sempre in agguato noccioli di pericolosità, e lo vediamo guardandoci intorno. Mi sono informato anche attraverso i filmati storici del Luce, certo molto controllati allora, con lui sempre trionfante e glorioso, ma anche da lì ho carpito la sua grande violenza. Naturalmente sono passato attraverso l’importante libro di Antonio Scurati, poi passato attraverso la coraggiosa e intelligente trasposizione in sceneggiatura, e Joe Wright mi ha fatto sentire le spalle coperte, fianco a fianco”, continua il protagonista.

Per Margherita Sarfatti “siamo partiti dal loro rapporto, molto intimo, complesso e articolato. Ho letto Dux scritto da lei, poi lavorando sulla morbosità del rapporto, basato sul potere, che lei esercitava su di lui e viceversa. Lei era una delle donne più colte, potenti e intelligenti dell’epoca: si sono un po’ usati a vicenda e abbiamo lavorato su questo e sulla seduzione tout court, perché loro vivevano un amore puro. Sarfatti è un personaggio complesso ma funzionale al racconto di questa storia dell’ascesa di Mussolini, coadiuvata da tante persone, tra cui lei”, per l’attrice che la interpreta.

C’è un recente seriale che ha connotato e reso indimenticabile un altro “duce” – il presidente statunitense Frank Underwood, Kevin Spacey in House Of Cards – e questo Mussolini, come linea di linguaggio, parla anche lui in camera, sceglie un interlocutore esterno, chiama in causa chi guarda, creando, volente o nolente, una liaison con lo spettatore, una complicità che, seppur inquietante, affascina e catalizza. Il rivolgersi in macchina, spiega Wright, “è la soluzione trovata rispetto alle varie possibilità di mostrare come esprima i suoi pensieri: raramente ha detto quello che pensava, ha ingannato tutti, dalla sua famiglia, al popolo, a se stesso. È uno che ha sempre cercato di controllare la sua narrazione, per vincere, ma infine perde la possibilità del controllo. La serie doveva offrire uno sguardo prismatico, quindi abbiamo cercato di sperimentare con tutti i linguaggi cinematografici possibili”. Poi, aggiunge Marinelli “il lato da ‘bestia da palco scenico’ è il suo twist al IV episodio, con una minaccia al pubblico una volta raggiunto il posto che vuole, da cui poi non guarda più in faccia nessuno”.

È il 10 ottobre 1919 quando il Duce afferma “andremo a Roma come siamo andati in guerra”, alludendo al voto parlamentare che sarebbe poi accaduto il successivo 16 novembre, momento di trionfo del Socialismo, con nessun fascista eletto, eppure Mussolini, pur affermando “sono morto!”, dinnanzi a quella sconfitta, e a un arresto, non paralizza la sua scalata, sempre affiancato dal fedelissimo Cesarino, ovvero Cesare Rossi, interpretato da un molto convincente Francesco Russo: “partito da un tema di cui mi aveva parlato Joe, una co-dipendenza, un’amicizia tossica di Rossi con Mussolini: ho provato a lavorare soprattutto come se Cesare Rossi vivesse una sorta di Sindrome di Stoccolma, lui prova a indirizzarlo, ma infine rimane a adularlo. Io esco un po’ dalla storicità del personaggio e entro in una metafora, quella dell’adulazione, che grande fetta della popolazione italiana ha vissuto verso Benito Mussolini”.

Nella serie scritta da Stefano Bises e Davide Serino, con Antonio Scurati, e girata negli Studi di Cinecittà, Mussolini è un’araba fenice, capace di nascere e rinascere, e nella narrazione di questo strabordante Io si ripercorre l’intera sua storia personale e politica, così convivono la fondazione dei Fasci Italiani e la figura della modesta moglie Rachele (Benedetta Cimatti), il famigerato discorso parlamentare del Duce dopo l’omicidio di Matteotti e l’imprescindibile influenza della Sarfatti, l’idolatria di Piazza Venezia e la dialettica con la figlia Edda, il trasformismo richiesto dal gioco della politica e la Marcia su Roma, fino al 30 ottobre del ’22, in cui Benito Mussolini, 39 anni, viene nominato dal re Vittorio Emanuele III (Vincenzo Nemolato) Presidente del Consiglio, “il più giovane primo ministro al mondo”. Ma non finisce qui, perché la Storia, continua… con lo spaccato cattolico e la figura di Sturzo, l’incombere ingombrante della Dalser, pregressa amante e madre di un figlio non riconosciuto, poi l’abbandono della Sarfatti alle porte di quelle elezioni in cui Mussolini deve prendere atto di “un’intero popolo di opportunisti” pronti ad aderire al Fascismo solo per salire sul cavallo vincente. “Io credo che l’invenzione che Mussolini ha operato, un populismo di estrema destra, abbia ruotato intorno a legittime preoccupazioni della gente, andando incontro alla paura: sono preoccupazioni che più o meno ci accompagnano nella Storia, finché poi emergono queste figure, che tendono a sfruttare le paure e le persone sperano in loro”, commenta il regista britannico, per cui l’uomo e il politico Mussolini “sono un tutt’uno, credo il fascismo sia la politicizzazione della mascolinità tossica. Mussolini è il risultato di un rapporto che ha intessuto prima con la sua comunità e poi con la Nazione. Per me era importante il suo essere unico”.

Scurati, presente a Venezia, dichiara di aver “sempre pensato che il cinema fosse il naturale prolungamento del romanzo, un romanzo documentario, devoto e fedele ai fatti storici, con una cornice romanzesca, e penso questa serie sia grande cinema. Il romanzo, come il film, è democratico, in quanto forma d’arte popolare, quindi l’idea di prolungalo con il cinema m’è sempre sembrata congeniale, certo c’erano dei rischi, legati alla dimensione spettacolare, e anche altri rischi su cui abbiamo dibattuto lungamente, e credo che siano stati brillantemente e creativamente superati e, pur nelle sue diversità, il film conservi la vocazione a rappresentare in forma nuova, coinvolgente, mobilitante, le coscienze degli spettatori, per far conoscere e capire quale seduzione potente avesse il fascismo cento anni e far così provare repulsa nei confronti di questo. Io credo che lo spettro del fascismo si aggiri ancora per l’Europa ma non sono stato io a evocarlo con il romanzo, né Joe o nessuno con la serie, ma sono altre forze storiche e soggetti a farlo: quello che l’arte democratica e antifascista può fare è disperdere lo spettro”. Rispetto al romanzo, Stefano Bises conferma che “il libro era una base consistente, la difficoltà era trovare la chiave per renderlo e credo che il sentimento che ci ha accompagnati fosse la paura – ma anche la responsabilità -, una paura passata nel momento dell’incontro tra Joe e Luca, un innamoramento. Il grosso del nostro lavoro è stato trovare il tono, è quella la libertà filologica, dopodiché non ci sono state violazioni storiche. Ci onora aver lavorato sul romanzo, e non siamo stati toccati dal alcun tipo di censura. Non c’era nessuna volontà di rendere Mussolini macchietta, è un codice del costantemente doppio, proprio della politica, non strettamente mussoliniano: in quel caso lui va dove vuole la pancia del Paese”.

Per il racconto Wright, ancora, propone anche un interessante uso dell’immaginario storico, di immagini “del periodo”, in bianco e nero, che perfettamente ricalcano il repertorio, per contribuire a creare il tempo con sequenze dalla grana e dall’estetica d’archivio, spesso amplificate con quello che potrebbe sembrare un contrasto, e invece diventa un megafono, ovvero la musica, con la colonna sonora di Tom RowlandsThe Chemical Brothers, tra i pionieri del big beat nella cultura pop: “una colonna sonora che si doveva accompagnare con i riferimenti del tempo e il senso del Futurismo è stata una delle chiavi: volevo restituire quello slancio, quella vitalità, che la musica dei TCB ha riflettuto, cogliendo l’avanguardia del tempo”.

M- Il figlio del Secolo è prodotta da Sky Studios e Lorenzo Mieli – The Apartment, società del gruppo Fremantle, in co-produzione con Pathé, in associazione con Small Forward Productions, in collaborazione con Fremantle, CINECITTÀ S.p.A. e Sky. Mieli racconta di aver: “potuto leggere il libro anni fa in bozze, aveva tanti pregi, ma uno in particolare mi ha convinto a provare l’impresa: spiegava in modo contemporaneo cosa Mussolini avesse creato, inventato. Da lì è partita la ricerca della chiave per far capire l’avanguardia dal punto di vista politico e che porte abbia aperto, nel male ovviamente. La scrittura è cominciata 6 anni fa e tutto è stato pensato per avere un effetto scioccante, ipnotico, avanguardistico, per capire cosa fossero Mussolini e il fascismo, terribile e rivoluzionaria invenzione”. Per Nils Hartmann (Sky Studios Italia), “M è un kolossal in 8 episodi, il progetto più ambizioso che Sky abbia mai fatto. Quando ho intravisto la possibilità di M l’abbiamo presa al volo: una sfida da fare, non tradizionale; poi, la proposta di Joe della colonna con i The Chemical Brothes mi ha fatto capire fosse la direzione giusta: questo approccio futurista mi ha convinto subito. Quest’anno, siamo stati a Berlino con la serie dei D’Innocenzo, a Cannes con quella di Valeria Golino, e adesso qui: c’è molto cinema nella serie Sky, questo ci rende orgogliosi”.

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