Il raffinato dramma psicologico richiama alla memoria scenari alla Attrazione Fatale. Russell adotta un approccio meno melodrammatico e meno influenzato dai cliché del genere, offrendo un ritratto equilibrato delle dinamiche di potere in continua evoluzione e del fascino irresistibile della celebrità.
“Volevo esplorare la sottile linea tra ammirazione e ossessione, e come il desiderio di appartenere possa trasformarsi in qualcosa di oscuro. Il mondo della musica e della celebrità offre un contesto perfetto per raccontare questa storia – ha detto il regista – non so se pensavo specificamente alla relazione tra fan e idoli, quanto piuttosto alla dinamica di gruppo, tra amici, e all’insieme, questi otto ragazzi che passano molto tempo insieme. Si può parlare di somiglianza, di un parallelo con le confraternite universitarie. I miei amici a Los Angeles lavorano tutti nell’industria musicale e quindi ho avuto del materiale su cui lavorare”.
Prende la parola il protagonista Pellerin: “Penso che Matthew metta il personaggio di Archie, Oliver, su un piedistallo irraggiungibile, a un livello di status così alto da renderlo quasi una figura divina. Non c’è nulla al di sopra di quello. Per alcune persone, e in particolare nella cultura americana, nulla è più importante della cultura delle celebrità.
E quindi, avere l’accesso, l’opportunità di entrare nel suo circolo, in quel mondo così lontano da lui, è qualcosa che non avrebbe mai immaginato fosse possibile. Una volta dentro, non può permettersi di perdere quella possibilità, quell’unica occasione di farne parte. E attraverso questa esperienza, inizia a vedere i meccanismi di potere in gioco e a rendersi conto che Oliver non è affatto un dio, e che le persone attorno a lui non sono poi così diverse da lui. In fondo, hanno tutti gli stessi istinti.
Quindi, penso che sia qui che il disincanto inizi davvero a prendere piede. Forse, in un certo senso, Oliver e Matthew sono in realtà molto simili e molto vicini, ma si trovano su due estremi opposti”.
A detta del regista, il lavoro ha assunto svolte inaspettate mentre veniva svolto: “Non era necessariamente la direzione che pensavo avrebbe preso all’inizio della scrittura, ma ho trovato che fosse la conclusione più interessante per la relazione dei protagonisti. In fondo, senza fare spoiler sul film, tutti questi personaggi ottengono ciò che vogliono, ed è una sorta di strano lieto fine con una grande implicazione: cosa significa il fatto che ci sia voluto tutto questo perché loro due potessero diventare veri amici e veri collaboratori, e che Oliver ora sia più famoso che mai? L’ho trovata una cosa divertente, penso. E spesso le cose che trovo divertenti sono quelle più drammatiche”.
“Per me – dice l’altro protagonista Madekwe – la dinamica tra Oliver e Matthew era davvero affascinante. Alex ha ragione, quasi tutto era già scritto nella sceneggiatura, ma certe cose sono emerse nei momenti di sviluppo in modi che forse non ci aspettavamo. Quando ho iniziato a pensare al personaggio di Oliver, mi sono soffermato su un sentimento universale che credo tutti abbiano provato almeno una volta: la solitudine. E mi interessava l’idea che, anche solo per un momento, questa solitudine potesse essere spezzata.
Anche se il potere sembrava sempre nelle mani di Oliver, lui aveva davvero bisogno di sentire che qualcuno lo apprezzasse al di fuori di un rapporto professionale, qualcuno che non fosse pagato per stargli accanto, anche solo per illudersi di questo. Matthew, invece, aveva bisogno di Oliver per altri motivi, e tra loro nasceva questa strana dinamica di attrazione e repulsione.
Man mano che la situazione degenerava, il loro legame assumeva significati diversi. All’improvviso, c’è un momento in cui Matthew si rivede nel video che hanno girato insieme e pensa: “Ecco qualcuno che mi vede nel modo in cui ho sempre desiderato essere visto. Qualcuno che capisce quello che sto cercando di fare.” A quel punto emerge la grande domanda: quanto sei disposto a sacrificare per avere successo? È stato uno degli elementi che continuava a sorprenderci mentre sviluppavamo la storia”.
E ancora, Russell: “Il finale è una vittoria per entrambi i protagonisti, perché ottengono ciò che vogliono. Alla fine, quello che si dovrebbe provare è una sorta di strano disgusto per il fatto che questo venga considerato un “lieto fine”, giusto? Perché questo è ciò che il successo rappresenta per questi personaggi. Lo si vede nei loro volti e in quelli degli altri personaggi nel momento in cui si passa a loro, mentre Matthew sta per rispondere a quell’ultima domanda.
E lo spettatore potrebbe chiedersi: cosa stava per dire esattamente prima che arrivassero i titoli di coda? Come avrebbe giustificato o cercato di attenuare il suo comportamento? Quale narrativa avrebbe costruito per raccontare il suo successo e quello di Oliver? Per quanto riguarda il commento sulla predominanza maschile nel film, credo che racconti davvero un gruppo di ragazzi e il modo in cui i gruppi di ragazzi si comportano tra loro.
C’è un personaggio femminile importante nella storia e, anche nella sua assenza nella seconda metà del film, la sua mancanza è molto significativa, soprattutto mentre le cose diventano sempre più… ingiustificabili. A quel punto, tutto ruota intorno a questi due uomini. Durante la mia ricerca, parlando con molti giovani musicisti uomini, sono rimasto sorpreso nel vedere quanto i loro mondi fossero spesso dominati dalla presenza maschile. Non è una realtà in cui mi riconosco nel nostro mondo della recitazione, della TV, del cinema e del teatro.
Ma nel mondo della musica, molti giovani musicisti uomini tendono a circondarsi quasi esclusivamente di altri uomini. E questo era interessante da osservare, soprattutto per le dinamiche di potere che emergono in questo contesto di mascolinità tossica. Mi ha affascinato molto vedere come i ragazzi iniziano ad agire quando non ci sono donne intorno”.