Il suo debutto da regista, Il piede di Dio, sarà una delle anteprime dell’edizione numero zero di ‘Per il cinema italiano‘, il nuovo festival voluto e diretto da Felice Laudadio, in programma a Bari dal 12 al 17 gennaio. Una manifestazione, articolata in ben 10 sezioni, che ha avuto il sostegno della Regione Puglia, del Comune di Bari e della Apulia Film Commission.
Luigi Sardiello è un esordiente non esattamente giovanissimo ma con una intensa esperienza di cinema: come critico, direttore di una rivista di settore (“Filmaker’s Magazine”) e sceneggiatore (ha collaborato anche con Pupi Avati) oltre che autore di un romanzo. “Come ama dire Chabrol: ci sono due strade per passare alla regia, o fare tutta la gavetta sul set oppure fare il critico”.
È stato difficile chiudere questo primo progetto?
La sceneggiatura era pronta da tempo: all’inizio doveva produrla Gianluca Arcopinto, poi il progetto è passato a Enzo Porcelli, che ha ottenuto il finanziamento dal ministero: 700mila euro a cui si aggiungono i contributi dell’Apulia Film Commission e della Salento Film Commission: il film infatti è stato girato tra Roma e la Puglia.
La storia è quella dell’incontro tra un talent scout e un ragazzino molto dotato per il calcio.
Tutto nasce da un personaggio reale, un ragazzino che conoscevo da piccolo, quando andavo in vacanza nel Salento: era un po’ ritardato ma non sbagliava mai un rigore e io pensavo che non sbagliasse proprio perché rideva sempre. Non sentiva la paura, la pressione, la responsabilità o gli insulti del pubblico. Cosa sarebbe accaduto se a qualcuno fosse venuto in mente di farlo diventare un campione?
Questa storia vera ha dato spunto a una commedia amara.
Sì, una commedia che vorrei ricordasse la commedia italiana classica, quella di Monicelli, oppure un film che amo molto come Bellissima di Luchino Visconti, dove il mondo del cinema, con il suo cinismo, ha la stessa funzione rispetto al mondo del calcio oggi. In fondo questa è la storia di due poveri disgraziati: uno un po’ scemo, l’altro meschino, furbo ma non abbastanza da fare i soldi… un personaggio alla Alberto Sordi. Tutto questo vuole anche essere una chiave di lettura dell’Italia contemporanea.
Che Italia racconta il film?
Il mondo del calcio giovanile è popolato di genitori che scaricano le proprie frustrazioni sui figli, di veline mancate, di procuratori col pelo sullo stomaco. Si sente l’ombra di calciopoli, con i tg che parlano degli scandali mentre i nostri eroi cercano di spuntare il provino giusto con una grande squadra. Il calcio c’è nelle sue due facce: quella di business senza scrupoli, con tutto il marcio e le brutture che sappiamo, e quella di grande sport di massa che suscita passioni ed emozioni fortissime e che dà una grande felicità a chi lo gioca.
I film sul calcio sono stati un punto di riferimento, in positivo o in negativo?
Non li ho mai trovati molto riusciti, perché quando si vede troppo calcio giocato al cinema si finisce per avere una sensazione di falsità. Mi piace quando al cinema si vede una partitella improvvisata, come nei film di Loach, e non la serie A o il campionato del mondo.
E il cinema che affronta il tema dell’handicap, da “Rain man” a “L’ottavo giorno”?
Ho evitato di rivedere quel tipo di film, che pure trovo molto belli.
I due protagonisti sono Emilio Sofrizzi e Filippo Pucillo.
Solfrizzi mi è sempre piaciuto molto: è un attore comico e malinconico insieme, bravo nei personaggi in bilico, e poi è perfetto per descrivere un barese che ormai vive a Roma, che si è ripulito, ed è infastidito dall’essere riconosciuto come uno di loro quando va in Puglia. Filippo è il ragazzino di Respiro e Nuovomondo: è bravissimo e gioca anche bene a calcio. Ha 18 anni ma non li dimostra con la sua faccia che può sembrare da grande o da bambino. Vive a Lampedusa con un cane, una tartaruga, un coniglio… Ho dato al personaggio di Elia molte sue cose.
C’è un gioco di parole tra il piede di Dio e la mano di Dio? Un riferimento al miracolo Maradona?
No, anche se l’espressione “il piede di Dio” vuole suggerire l’idea che ci siano tra noi delle divinità insospettabili. Elia quando tocca la palla è divino anche se il destino per il resto non è stato benigno con lui. Mi fa pensare all’albatro di Baudelaire, che quando vola è elegante e bellissimo e quando mette le zampe a terra diventa goffo e impacciato.
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