Luigi Lo Cascio, giovane rivoluzionario


“Mi dispiace molto che Baarìa non partecipi alla corsa finale degli Oscar, è un film che aveva ottime chance. Per me sarebbe stata la terza volta, dopo I cento passi e La bestia nel cuore. È chiaro che ti emoziona e ti fa piacere quando un tuo film viene selezionato, ma come dice lo stesso Tornatore, l’importante è l’accoglienza che ti riserva il pubblico, e in USA il consenso per Baarìa è eccezionale”.

Così l’attore Luigi Lo Cascio, che nel film ha un piccolo ruolo come ‘scemo del villaggio’, commenta l’esclusione del film di Tornatore da una prima selezione di nove film in gara per l’Academy per il miglior film straniero.

Il curriculum artistico di Lo Cascio è ricco di esperienze a teatro e al cinema, con film di ogni genere: I cento passi e La meglio gioventù, entrambi diretti da Marco Tullio Giordana, il dramma La bestia nel cuore, di Cristina Comencini, il thriller Occhi di cristallo, di Eros Puglielli, fino ad arrivare alle recenti partecipazioni ne Gli amici del bar Margherita di Pupi Avati e in Baarìa.

Abbiamo incontrato l’attore a margine della lezione tenuta al Teatro 8 di Cinecittà agli allievi dell’ACT Multimedia-Accademia di Cinema e Televisione di Cinecittà .

Sarà in “Noi credevamo”, il prossimo film di Mario Martone che, si vocifera, andrà a Cannes…
Di queste cose è meglio non parlare. Però posso dirvi che il film, ambientato ai tempi del Risorgimento, si ispira a un libro omonimo di Anna Banti. Il romanzo si struttura come un finto diario del nonno dell’autrice, mazziniano convinto. Martone ha aggiunto del suo, affiancando alla trama principale altre storie di persone che sono state importanti in quel periodo, pur non essendo conosciute come Mazzini, Garibaldi e Crispi. Nel titolo si legge il rammarico di una presa di coscienza: l’Unità d’Italia, pur restando un grande traguardo, non è la stessa che quei patrioti volevano e per la quale lottarono. Ci sono cose in contrasto con i loro ideali, soprattutto nel forte squilibrio tra Nord e Sud.

Possiamo definirla una storia di disillusione?
La preoccupazione di chi fa un film è quella di presentare fatti, sentimenti e idee. È lo spettatore a dover attivare il senso critico, altrimenti diventa propaganda. Il film è un mix di cronaca e invenzione. I sentimenti sono il più possibile verosimili, ma il significato è e deve restare nello sguardo dello spettatore.

Ha interpretato tanti personaggi in film di ogni genere. Ce n’è qualcuno che le è rimasto nel cuore?
Per un attore i personaggi sono come figli. E come a volte capita, si tende a trattare con più affezione i figli che hanno maggiori problemi, quelli più sfortunati. In linea generale, tendo ad amare dunque i miei personaggi che hanno avuto meno successo. Però, dovendo scegliere, credo che resterò per sempre legato a Peppino Impastato de I cento passi, soprattutto perché non è un semplice personaggio, ma anche una persona. È una cosa che trascende il mio mestiere d’attore. È come se io stesso lo vedessi con gli occhi dello spettatore, al di là del fatto di averlo interpretato. Mi sono avvicinato ai suoi luoghi, alla sua famiglia, che non si è mai arresa e si è sempre rifiutata di considerare la sua morte come un suicidio o un attentato terroristico fallito, alla sua storia insomma, che è venuta fuori proprio grazie alla tenacia delle persone che gli volevano bene.
Tra l’altro, l’anno dell’uscita del film ha coinciso con la celebrazione del processo, dopo molti anni dalla sua morte. Sono stato a Cinisi, il suo paese, ho visto la sua stanza, è stato molto toccante, senza contare che era il mio primo film.

Come è stata l’esperienza sul set de “Gli amici del bar Margherita” di Pupi Avati?

Mi sono divertito tantissimo a girare questo film. Quando Avati ha chiesto di me non ha detto che voleva farmi un provino. Ha detto semplicemente che voleva incontrarmi. Per lui il punto principale è questo: conoscere una persona e capire se con quella persona può fare un viaggio, una vacanza, o una partita a carte. È un tipo che coglie sempre la “dimensione giocosa”, che come tutti i giochi è una cosa seria. Sul set è vulcanico e ha un modo unico di stare fisicamente accanto alla macchina da presa, cosa che ormai è sempre più rara. Le novità apportate dagli ultimi sviluppi tecnologici portano spesso il regista a guardare le riprese in un’altra stanza, davanti a un monitor, o magari in un camper a cento metri dal set. E’ bello invece che ci sia ancora qualcuno che ami vivere il cinema con il corpo, accanto agli attori e dietro la cinepresa.

Quali sono i suoi prossimi progetti?
Per il cinema, ci sono molte cose che bollono in pentola per l’estate. Nel frattempo, sono a teatro con un testo mio, “La caccia”, tratto da “Le Baccanti” di Euripide. L’anno scorso è stato a Roma, ora lo porto a Milano al Teatro dell’Elfo, e poi a Bologna. Al cinema trovo intrigante entrare nelle storie create da altri, ma il teatro è il mio luogo creativo, dove propongo ciò che è scritto da me.

autore
22 Gennaio 2010

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