Luigi Lo Cascio


Protagonista dei Cento passi nei panni di Peppino Impastato è Luigi Lo Cascio. Palermitano doc. Ci ha vissuto vent’anni, nel capoluogo siciliano, prima di trasferirsi a Roma, dove si è diplomato all’Accademia d’Arte drammatica Silvio D’Amico. Quello di Marco Tullio Giordana è il suo primo film. La sua passione è sempre stata il teatro, dove ha debuttato con Patroni Griffi. “Finora non avevo pensato al cinema – afferma – dopo due anni di recitazione, ho pensato a dirigermi verso la scrittura e la regia, sempre a teatro”. Ha una voce bellissima, Lo Cascio, impostata, forte, suadente, perfetta per la radio. E somiglia pure a Peppino. Ottimo colpo per Giordana. Perché non hai mai voluto fare cinema?
Il cinema va coltivato, seguito, bisogna fare provini, farsi vedere… È impegnativo, bisogna dedicargli tempo. E fino a oggi avevo evitato tutto questo. Poi, con Giordana, è stata un’occasione fortunata.
Come vi siete incontrati?
Luigi Maria Burruano, che fa la parte di Luigi Impastato, mio padre, nella realtà è mio zio. Una sera, mentre era a cena con Giordana, mi ha chiamato, perché il regista non riusciva a trovare l’attore adatto al film. Io ero a Palermo, per la trilogia shakespeariana di Carlo Cecchi. Quando mi ha visto, Giordana è rimasto colpito per la mia somiglianza al personaggio.
Quindi la tua partecipazione è assolutamente casuale.
Non sarei andato spontaneamente. Mi sono sempre sentito inadeguato al cinema. A teatro scompari, al cinema parli molto di te. Questo è stato un caso, ora vedremo che succede.
Conoscevi la storia di Peppino?
Sì, per me era come un mito. La prima volta che ne ho sentito parlare avevo undici anni, alla Festa dell’Unità. Girava una macchina con un megafono indicando un appuntamento dell’associazione su Impastato e la voce metallica mi ha subito attratto. Ho chiesto ai miei chi fosse e la mia famiglia mi ha spiegato man mano di chi si trattasse.
E la tua immagine corrispondeva a quella descritta dal film?
L’immagine che ne avevo io era legata anche a caratteristiche private. Conoscevo certe introversioni, i silenzi, di cui il film non parla. Raccontando in due ore vent’anni di attività, il regista ha scelto di parlare soprattutto della sua attività. Nel privato, Peppino era inclemente contro se stesso. Sempre in dubbio verso le proprie scelte, per questo inventava ogni volta qualcosa di nuovo, non ha mai accettato di fermarsi, eretico anche verso se stesso. Non è un documentario, quindi l’immagine è trasfigurata. Credo che il film racconti il Peppino più interessante.

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02 Settembre 2000

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