LUDOVICO EINAUDI


Il Forum del festival di Locarno, da sempre all’insegna del rapporto tra cinema e altre arti, ha dedicato uno spazio all’incontro con il musicista e compositore Ludovico Einaudi. Nipote dell’ex presidente della Repubblica Luigi e figlio dell’editore Giulio, Ludovico Einaudi, classe 1955, è artista raffinato e completo, in quanto polistrumentista, e si dice a favore della contaminazione dei generi, rifiutando qualsiasi etichetta. Ha collaborato spesso con registi italiani come autore di colonne sonore: da Treno di panna di Andrea De Carlo, a Fuori dal mondo e Luce dei miei occhi di Giuseppe Piccioni, ma anche Le parole di mio padre di Francesca Comencini e Aprile di Nanni Moretti.

Come nasce la sua passione per la musica?
Nella mia famiglia la parte musicale si ritrova nel ramo materno: mia madre suonava il pianoforte e mio nonno era un compositore e direttore d’orchestra. In una casa piena di libri come la mia, la musica è stata un contraltare, o meglio un’alternativa per fuggire dal peso della cultura letteraria.

Lei ha studiato con Berio?
Più che studio, è stato una sorta di lavoro a bottega, visto che da subito mi ha coinvolto nei progetti che non riusciva a terminare, come lavori di trascrizione musicale. Ho fatto esperienze sul campo, ancora da studente, e ne ho un bellissimo ricordo, anche umano.

Come si svolge la sua attività di musicista e compositore?
Dal ’95 ho deciso di dedicarmi soltanto agli strumenti che potevo gestire da solo, senza altri musicisti, occupandomi anche delle registrazioni. Da questa esperienza è nato il disco “Le onde”, ispirato dalla lettura dell’omonimo libro di Virginia Woolf e soprattutto dalla struttura del romanzo, che ho cercato di riportare nel disco e che vede le onde come simbolo della vita. In un certo senso il disco è un film immaginario che ognuno sviluppa con le proprie immagini.

Come definirebbe la sua musica?
Nella mia musica c’è contaminazione, ma la considero una forma di amore. Sicuramente c’è un’assimilazione della musica africana, dopo i miei viaggi nel Mali. Non mi definirei un minimalista come Philip Glass o Michael Nyman, anche se apprezzo quanto questa corrente sia stata importante in contrapposizione allo strutturalismo della scuola di Vienna.

Come ha cominciato a comporre colonne sonore?
Per la mia amicizia con Andrea De Carlo, che nel 1988 ha diretto il suo unico film Treno di panna: è stato quasi un caso, e lui ha voluto scrivere i testi di alcune mie musiche. La prima esperienza di una certa risonanza è venuta 10 anni dopo con Aprile di Nanni Moretti: l’ho conosciuto in occasione di un mio concerto e qualche tempo dopo mi ha chiesto se poteva utilizzare 3 brani tratti da “Le onde”. Avevo molto apprezzato in Caro diario la combinazione di musica e immagini cinematografiche, ma Aprile mi ha deluso. Le musiche erano costrette, prive di quell’ampio respiro fatto di lunghe sequenze.

Ha collaborato due volte con Giuseppe Piccioni.
Ho cominciato a collaborare con Fuori dal mondo. C’è stata una selezione di materiale preesistente su cui poi ho lavorato, così la musica scandisce bene il filo temporale delle scene e diviene un punto di riferimento per il montaggio. Inoltre, in modo autonomo dal film, ho scritto due temi “Fuori dal mondo” e “Fuori dalla notte”. In Luce dei miei occhi c’è in più un uso della musica elettronica, ma solo come rinforzo, come colore.

Come giudica l’uso della musica in un film?
Apprezzo anche i film senza musica. Trovo che in quelli americani sia eccessiva: se c’è, deve dare qualcosa. Mi piace come David Lynch usa suoni e rumori per sottolineare le emozioni. Trovo che in generale non ci siano regole, perché ogni film ha una sua storia.

Progetti futuri legati al cinema?
Ho avuto varie proposte per colonne sonore all’estero, in particolare per un film d’animazione inglese e sicuramente ci sarà una nuova collaborazione con Piccioni.

autore
14 Agosto 2003

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