È un maestro del cinema italiano. La Berlinale 2001 gli dedica un omaggio. E lui, Luciano Emmer, torna alla regia e al grande schermo, dopo una lunga pausa di silenzio. Basta! Ci faccio un film era del 1990. Dopo, a parte i due documentari Foggia non dirle mai addio e Bella di notte, sul restauro della Galleria Borghese a Roma, il regista della Ragazza in vetrina non aveva più girato un film.
Ora, con Una lunga lunga lunga notte d’amore sceglie di raccontare una, anzi più storie di donne a Torino, con Giancarlo Giannini – “un innamorato, più che un amico”, lo chiama Emmer – e un grande cast di attrici: Marie Trintignant, Isabelle Pasco, Eljiana Popova, e la nostra Ornella Muti. Un film corale, com’è la moda oggi? “No – ribatte subito Emmer – non voglio rifare America oggi di Altman e nemmeno il mio Una domenica d’agosto. Non mi interessa più il film a episodi. Ho girato senza stacchi, con continue carrellate invisibili, perché non ci sono storie che si intrecciano, ma solo squarci, contatti con certe donne.
Nel corso delle ore passiamo naturalmente da una storia a un’altra, in compresenza, nell’atmosfera magica e crudele della notte del 21 dicembre, la notte più lunga dell’anno. Enrico Ghezzi, che è stato tra i primi a vedere il mio film, mi ha detto: “qui non contano la storia, la sceneggiatura o gli attori, e nemmeno la regia. Conta solo la profonda emozione che c’è, dall’inizio alla fine”.
Parlando di emozioni, che cosa le suscita Berlino? Che rapporto ha con la cultura tedesca?
È una città che conosco molto bene. La prima volta che ci sono andato è stato per cercare un’attrice per La ragazza in vetrina, e poi ci sono tornato molte altre volte, quando c’era il Muro e si atterrava nel vecchio aeroporto costruito nel cuore della città, ma anche dopo. E ancora prima di andarci mi ero innamorato della Berlino degli anni Trenta, della sua storia e della sua cultura. Berlino ha un dono magico, un’atmosfera che non è legata alle strade o ai boschi che la circondano, e che è la città stessa. A Berlino c’è l’opera d’arte più intrigante che si possa trovare nei musei del mondo, la Nefertiti. E le donne di Berlino sono diverse da tutte le altre donne. Quello che nessuno è riuscito a distruggere di Berlino, l’ossatura della città, è proprio quest’atmosfera che non ti fa pensare al Kaiser, alla capitale di un Paese che ha scatenato guerre spaventose. Ti fa pensare, invece, alle attrici tedesche, a Marlene Dietrich.
Com’è stato, in quest’ultimo film, il suo rapporto con le sue attrici?
In Una lunga lunga lunga notte d’amore le donne sono come un profumo che dura finché dura la notte, finché durano i sentimenti. Poche gocce sul dorso della mano che svaniscono dopo qualche ora. È stato girando Bella di notte che ho avuto l’idea di questo film. Un documentario che è un viaggio nel buio, dentro la Galleria Borghese, io con le donne del Tiziano, del Domenichino, con Danae e Paolina Borghese, da solo. E lo stesso viaggio solitario e notturno ho compiuto con le mie attrici, a Torino. In questo film è successa una cosa molto curiosa. Le mie protagoniste sono entrate quasi inconsapevolmente dentro la storia che stavo scrivendo, tanto che se non le avessi trovate forse non avrei fatto il film. Io non faccio provini. Per Marie sono andato a Parigi, ho parlato con lei quattro ore, ed era come se avessi già girato tutto quello che dovevo girare. Ornella è arrivata a Torino con il suo truccatore che mi ha detto che quel giorno era di pessimo umore e che sarebbe stato molto difficile lavorare con lei. Ma dopo mezz’ora si era già buttata tra le mie braccia. Isabelle è rimasta ancora una settimana, dopo la fine delle sue scene, solo per prestarmi le gambe per un’altra storia del film. E con tutte è stato uno splendido idillio.
Che cosa farà adesso? Un altro film?
Sì. Una storia sempre di donne, anzi, la storia di una sola donna. Tre donne in tre luoghi diversi del mondo, che non hanno nulla a che vedere l’una con l’altra ma che sono la stessa persona. Un film alla Rashomon.
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