Luca Prasso


E’ la vera prova dell’esistenza di intelligenze artificiali.
Tanto per rifare il verso all’atteso film del suo datore di lavoro. Quello Steven Spielberg, che insieme ai soci Katzenberg-Geffen, è alla guida della competitiva PDI/DreamWorks, vera e propria macchina produttiva dell’animazione digitale.
Luca Prasso è il supervisore tecnico dei personaggi digitali di Shrek diretto da Jeffrey Katzenberg (leggi l’intervista di Cinemazip) .
Arrivato in concorso a Cannes 2001. Non succedeva dal 1953 per il Peter Pan della concorrenza Disney.
Una pellicola destinata a bruciare altri primati, visto che si tratta del primo cartone animato entrato di diritto nei primi 10 incassi cinematografici Usa, dopo solo una quindicina di giorni di distribuzione nelle sale.
Luca è nato a Torino nel 1964.
Non è notizia di tutti i giorni scoprire che dietro a fortunate megaproduzioni nate oltreoceano ci sia la creatività di un italiano.
Se pensate sia una favola, statelo a sentire.

Il tuo è un classico caso di “fuga di cervelli”. Come sei arrivato a lavorare per la PDI/DreamWorks?
E’ una storia lunga.

Che inizia…?
Nel 1982, quando ho finito il liceo. E in Italia arrivavano i primi personal computer. Amavo disegnare e ho subito pensato: “che bello, posso animare i miei scarabocchi!”. Nel 1986 a Verona, città in cui vivevo, un signore investe i suoi soldi in una piccola impresa chiamata Comp Graf. Credo esista ancora. Una specie di pioniere dell’animazione digitale, a cui mi sono rivolto presentando la mia bella cartellina di disegni. Ho iniziato così a lavorare, gratis. Realizzando, con i primi loghi in movimento e le sigle del tg locale, quando mi piacesse dedicarmi a questa attività. Che continuavo a sognare sulle riviste specializzate di computer grafica. In Italia mi sembrava di combattere una battaglia persa. Non incontravo nessuno chiaramente convinto dell’importanza di un mezzo simile. E finalmente decido di partire per gli States. Ero convinto di restare un anno. Ne sono passati sei e non ho alcuna intenzione di tornare.

Perché in Italia nel frattempo non si è mosso niente?
Mi sembra che, più o meno, le voci siano sempre le stesse. Ogni giorno è difficile rispondere alle valanghe di e-mail scritte da persone che vorrebbero trasferirsi in Usa. Mentre non nascondo il nostro desiderio di ritornare a lavorare in Italia. Il problema che è siamo solo dei tecnici creativi. Fare gli imprenditori è un’altra cosa.

Parli al plurale?
Guido Quaroni è in Pixar. Poi c’è Massimiliano Rocchetti che lavora per una casa di produzione più piccola che fa cose bellissime. Raffaella Filippini, oggi lavora con me. Ma da molti anni è in America e viene dalla Disney. A Los Angels e a San Francisco ci sono ancora molti altri italiani sia alla DreamWorks, che alla Sony o alla Disney. Odiamo tutti l’idea che quello che ci piace possiamo farlo solo lì. Anche se sappiamo bene che a Hollywood ci sono i soldi e persone capaci di produrre film. Ma è un malcontento più generale. Quando ho lanciato l’idea di creare PDI Est, che vorrebbe dire portare un pezzo della PDI in Toscana, metà della società si sarebbe trasferita. Insieme al mio collega Felix, che adesso sta lavorando a Il Signore degli Anelli, ci scherziamo su da almeno quattro anni. E se non sarà una filiale della Pdi, abbiamo già il nome della nuova società, potrebbe chiamarsi Sembra venga bene

Lascerebbe a bocca aperta i due litiganti DreamWorks e Disney?
La DreamWorks è una specie di kid on the block, il bambino cattivo che si è messo a giocare nel parco fino a ieri esclusività della Disney. Il nostro target è chiaramente diverso. I nostri prodotti sono creati proprio per modificare il classico rapporto: animazione=parcheggio bambini. Ma è chiaro che si tratta di uno scontro tra Titani, in termini di mercato. A noi creativi ci condiziona poco. Gli studios della Pixar sono geograficamente poco distanti dai nostri. E lì dentro abbiamo molti amici. Non ci facciamola la guerra. La nostra è solo sana competizione.

A proposito di favole, sai che Benigni sta girando Pinocchio. Ti piacerebbe lavorare con lui?
Proprio l’altra sera, a Los Angeles, ero a cena con una ragazza italiana che lavora part time, per la Digital Domain di James Cameron. Era reduce da una conversazione telefonica proprio con Benigni. Un classico primo contatto di preproduzione per scegliere il preventivo migliore da spendere per gli effetti speciali. Quelli della Digital Domain erano probabilmente troppo alti e Benigni si sarebbe rivolto a società europee. Il suo film ha un budget complessivo di 20 miliardi. Altissimo per gli standard italiani. Niente confronto a quelli spesi per Shrek. Speriamo sia un buon precedente. E magari, grazie a lui, qualcuno inizi a pensare che valga la pena investire di più.

E così la favola, stavolta la tua, si concluderà nel migliore dei modi e potrai tornare in Italia?
Prima mi aspetta il sequel di Shrek. E’ praticamente quasi pronto. Se, almeno come sembra, i personaggi principali restano gli stessi. Personalmente, comunque, tornerei perché amo profondamente il cinema italiano. Capace di raccontare storie semplici senza usare gli effetti speciali.

Detto da te fa davvero un certo “effetto”?!
Io vado al cinema per emozionarmi. E sono convinto che la gente si stancherà di vedere mega esplosioni, con tanto di sventolio di bandierine americane. Spero che vincano le belle storie. Il problema di utilizzare questa piuttosto che quell’altra tecnica non è così importante.

autore
06 Giugno 2001

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