Mufasa: Il Re Leone, in arrivo nelle sale italiane il 19 dicembre, è un prequel del celebre classico Disney, che racconta l’ascesa del leggendario re delle Terre del Branco. Il film, narrato da Rafiki, ripercorre la vita di Mufasa attraverso una serie di flashback, mentre il saggio sciamano racconta la sua storia alla giovane Kiara, figlia di Simba e Nala. Timon e Pumbaa, con il loro consueto umorismo, arricchiscono il racconto con le loro esibizioni.
La trama si concentra su Mufasa da cucciolo orfano, solo e abbandonato, finché non incontra Taka, un giovane leone destinato a diventare Scar, erede di una stirpe reale. Questo incontro inaspettato segna l’inizio di un’avventura condivisa, dove i due giovani leoni, accompagnati da un gruppo di compagni sventurati, si trovano a fronteggiare pericoli e a sviluppare una profonda amicizia. Nel corso del viaggio, i loro legami saranno messi alla prova mentre cercano di sfuggire a una minaccia mortale.
Diretto da Barry Jenkins e prodotto da Adele Romanski e Mark Ceryak, vanta la colonna sonora del pluripremiato Lin-Manuel Miranda, promettendo una combinazione di emozione e musica che arricchisce la leggenda del celebre re delle Terre del Branco.
La tecnica usata è quella dell’animazione in cgi di stampo “realistico”, controversa ma sempre efficace quando si tratta di riproporre i classici.
Ne vengono proiettati in anteprima 40 minuti, e durante la conferenza intervengono il regista Jenkins e i doppiatori italiani, tra cui Luca Marinelli, Elodie e Alberto Boubajer Malanchino.
Non possiamo rivelare specifici dettagli sulla trama per “contratto”, ma possiamo certamente dire che sembra interessante, con i suoi riferimenti a temi antropologici rilevanti come la valenza (o meno) delle linee di sangue nella discendenza, i rapporti di parentela, lo scontro tra cultura e natura, supportato dalla colonna sonora di Miranda che potrebbe perfino competere con i classici come ‘Hakuna Matata’ e ‘Il cerchio della vita’.
Segnatevi questa parola, a tal proposito: Milele.
Ad aprire la conferenza è il regista Jenkins, salito alla ribalta con Moonlight, che racconta la sua esperienza in Disney: “La cosa assurda è che sono loro ad avermelo chiesto, e io inizialmente avevo detto no. E’ stata mia moglie a convincermi a leggere la sceneggiatura, sarebbe stato infantile rinunciare senza farlo. Mi sono fermato esattamente nel punto in cui si interrompe l’anteprima di oggi, a 40 minuti dall’inizio. Ho capito perfettamente che si sarebbe adattato al mio stile, che poteva essere un film di Barry Jenkins. L’ho trovato fantastico. C’è una scena esatta in cui Taka tiene per un attimo la zampa di Mufasa per insegnargli a notare. Identica a qualcosa che era in Moonlight, e che non ho scritto io. Del resto non so quante volte ho visto l’originale con i miei nipoti, so quanto sia rappresentativo per loro. Oggi mi piace raccontare di come anche Mufasa, sebbene adottato, sia riuscito a costruirsi una nuova famiglia, un’identità, un ruolo. E’ così anche per me. Se guardo una foto di me da giovane, chi avrebbe mai immaginato che oggi potessi essere qui a presentare un film del genere? Eppure non dipende da dove vieni, ma dalle persone che incontri, dalle esperienze che fai. Alla scuola di cinema ho incontrato tanti amici e collaboratori che mi hanno accompagnato per anni”.
Come Chloe Zhao o Greta Gerwig, Jenkins è un autore indipendente che approda a un grande franchise: “Perché noi siamo la prima generazione che i franchise li ha avuti – dice – negli anni ’60 e ’70 non esistevano. Poi sono arrivati i vari Disney, Terminator, Die Hard, Independence Day… io sono cresciuto con questi film, non con i Leoni d’oro. Quelli sono arrivati dopo essere andato alla scuola di cinema”.
Ma quanto è stato difficile padroneggiare la tecnologia? “Ci ho messo un anno e mezzo. Sono abituato a lavorare con gli esseri umani, a farli agire di concerto, a mettere i lampi dentro a una bottiglia. Qui era tutto virtuale: abbiamo iniziato dalle voci, poi c’è stato un montaggio su schermo nero, poi gli storyboard, e gli animatori invece di coinvolgere attori si sono messi addosso la tuta e hanno recitato a quattro zampe, disegnando direttamente col corpo. Con la colonna sonora è andata più liscia, grazie soprattutto al lavoro incredibile di Miranda e della sua squadra”.
Dice Marinelli: “Sono un grande fan del Re Leone, ricordo ancora il mio salto a 9 anni quando partì “Nants Ingonyama”, avrò visto il film cento volte e ora mi ritrovo qui, all’interno di questo olimpo. Una piccola schiera di miei nipoti guarderanno per anni il film, adesso mi toccherà fare la voce di Mufasa per mettere a letto i bimbi di tutti i miei amici. E’ bello che questa opportunità sia arrivata in questo momento. Il primo atto della mia vita è finito a 40 anni. Ora sono nel secondo, che arriva fino agli 80. Sono nello svolgimento del mio plot e questa possibilità mi fa guardare al bambino di tanti anni fa che pensava addirittura di non arrivare a 40 anni. Oggi gli potrei dire che andrà tutto bene. C’è il tema di una terra promessa. Tutti devono andare verso il proprio Milele. Io l’ho fatto ma non da solo, grazie agli amici, la famiglia, i colleghi. Nel personaggio di Mufasa ci sono anche dubbi e grande sensibilità. Questa è la parte che mi ha maggiormente emozionato”.
Prosegue Elodie, al secondo film da doppiatrice: “Sono ovviamente molto orgogliosa. Chi avrebbe mai immaginato che avrei avuto tutte queste opportunità nella mia carriera. Non potevo chiedere di meglio che interpretare una leonessa. Questo è un mestiere complesso, non il mio. Ma i direttori di doppiaggio sono stati al mio fianco. Mi sono sempre sentita un cucciolo di leone, pensando che aggredire fosse il primo modo per difendersi. Mi fa sorridere trovarmi a fare cose che con un giro assurdo finiscono per somigliarmi. La mia paura è sempre di non essere all’altezza, di non essere capita. Ma questo ruolo arriva in un momento di grande serenità e comprensione dei miei limiti. Ho visto tutto di Disney e Pixar, e mi piacciono in particolare gli antagonisti, come Ursula. Sono i personaggi più interessanti. Li avrei voluti abbracciare e scoprire perché siano diventati così”.
D’altro canto la cantante lavora spesso anche come attrice: “In questo momento – dice – sto studiando e sto facendo quello che da ragazzina non ho fatto. Abbraccio tutte le opportunità per esprimermi, essere una donna risolta e superare la paura che ho avuto nella prima parte della mia vita, che nemmeno sapevo di avere. Il cinema ti dà grande possibilità di scoprirti. In questo, è fantastico”.
Alberto Boubakar Malanchino commenta: “Non si tratta di una sola questione di voce, ma di un lavoro a 360 gradi. Dipende come la usi nel teatro, nel set, la scuola di doppiaggio se fatta con sensibilità e intelligenza migliora attori e attrici”.
Jenkins viene interrogato anche sul futuro del suo paese, domanda non facile: “Siamo tutti esseri umani complessi – dice – anche i cattivi. Ho sempre immaginato che Scar non fosse nato così, ognuno fa il suo percorso e come sei dipende da questo. Vale per le persone e vale per i paesi. Certamente è nostra responsabilità fornire figure genitoriali complesse e mature, oggi i bambini sono molto più attenti a quello che vedono”.
Altri doppiatori sono Edoardo Stoppacciaro, Riccardo Suarez Puertas e Dario Oppido.
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