E’ un omaggio antibiopic e ‘sperimentale’ a uno scrittore e intellettuale del prestigio di Alberto Moravia (1907-1990) il documentario Moravia Off di Luca Lancise che è previsto come preapertura alla Festa del Cinema di Roma domenica 22 ottobre, alle 18.00, alla Casa del Cinema, con ingresso libero, presenti il regista e i produttori (Stemal Entertainment, Istituto Luce Cinecittà e Lanciluc).
Moravia Off si compone innanzitutto di brani di interviste tratte dalle Teche Rai, da documentari firmati dai fratelli Taviani o da Mario Schifano, di sequenze dell’Archivio Luce, di repertori cinematografici. Materiali che, nel restituirci frammenti essenziali del pensiero e della personalità di Moravia, s’intrecciano con le immagini, quasi sempre autoprodotte grazie a tablet, smartphones e web-cam di stranieri che hanno stabilito un rapporto con l’opera moraviana. Voci e volti provenienti dall’Egitto, Polonia, Cina, Germania, Francia, e Corea del Sud che hanno tradotto o studiato o rappresentato a teatro i suoi testi.
La poetica e le tematiche di Moravia diventano così l’occasione per questi testimoni giovani e non di parlare del proprio vissuto, di una condizione, di un luogo: una sorta di video-diario che si compone di emozioni e riflessioni stimolate dai suoi romanzi e racconti, dai suoi reportages sull’Africa.
Ma ci sono anche in Moravia Off registi come Bernardo Bertolucci, Citto Maselli e Mohsen Makhmalbaf, che hanno ricevuto molto da un autore che col cinema ha avuto un rapporto intenso come critico e come sceneggiatore. E c’è Andrea Andermann, compagno di viaggi di Moravia per quasi 20 anni, con il loro documentario Alcune Afriche (1975).
Lancise perché dedicare oggi un documentario a Moravia?
Perché, oltre a ciò che esprimeva in alcuni suoi libri ormai classici, credo sia stato un intellettuale nel senso pieno del termine, cioè una coscienza critica che utilizzava la cultura prima di ogni altro criterio, come principale chiave per leggere e commentare i fenomeni del presente, e lo faceva con chiarezza anche divulgativa e con rispetto per il pubblico. E anche perché il soggetto che ho poi sviluppato è nato col mio amico pittore Luigi Athos De Blasio, che è un grande appassionato e conoscitore di Moravia.
Ritiene che sia un intellettuale dimenticato, rimosso nel nostro Paese, e a ciò il titolo del documentario forse rimanda?
Si, lo è, a parte gli sforzi preziosi del Fondo e della Casa Museo Alberto Moravia: secondo un vizio italico, molte figure passano da una iper popolarità persino ossessiva, come nel caso di Moravia, al dimenticatoio. Contano finché sono in vita e finché appaiono, la loro eredità passa al disincanto, o alla formalina accademica. Credo che si debba sempre favorire nuovi talenti emergenti o sconosciuti, ma abbiamo ancora molto bisogno di tenere presenti, specie in Italia, grandi figure critiche del recente passato, magari attraverso nuove letture. Al contrario, all’estero Moravia è uno dei pochissimi narratori italiani ancora tradotti, ripubblicati e amati, da lettori e cineasti, dalla “New York Review of Books” all’Egitto, da Pechino a Teheran.
La parola inglese “Off” sta a significare questo e anche un’altra cosa: trattare la poetica di uno scrittore in modo poco convenzionale, attraverso linguaggi e persone fuori del circuito istituzionale o tradizionale.
Quanto Moravia o quali suoi aspetti sono attuali? Molti: il tema dell’indifferenza, il rischio della “noia” come volontà di possesso frustrata, del rischio nichilista di sfogare o esprimere la propria sensibilità d’animo senza andare “incontro all’altro”, a ciò che è fuori da noi stessi, invece che essere ossessionati solo dal nostro ego o da ciò che vogliamo possedere; oppure ricorrere al compromesso ipocrita, per scelta imposta o obbligata dagli altri. Il tema dell’identità personale, singola, incrociato a quello del nazionalismo “identitario” e dei confini, oggi attualissimo. Il tema dell’Africa e del rapporto con la natura: uno degli scrittori ritenuti più razionalisti e illuministi, ha in realtà sempre espresso questo elemento senza mai separarlo dalla parte oscura, irrazionale, misteriosa, o naturale: cioè la parte da accettare o scoprire, quella a cui andare incontro, appunto, magari per stupirsi e meravigliarsi. Senza contare la sua riflessione sul nucleare, pre-politica: come pericolo di distruzione non di un singolo popolo, ma della specie.
Perché non ha scelto di realizzare un tradizionale, classico documentario biografico?
Anzitutto perché cercavo una modalità narrativa diversa, mi interessava raccontare dei “rapporti”, delle “ispirazioni” alla poetica di un autore più che un resoconto della sua vita o una divulgazione della sua opera. Direi che è forse più un lavoro “con” Moravia invece che “su” Moravia; e questo mi sembra un modo, perlomeno un tentativo, appunto, di “usare” un classico, di riattivare un’opera culturale: cioè la sua fecondità, ciò che può generare; in un certo senso, il documentario “crea” il suo stesso oggetto di racconto, fa l’esperimento di vedere cosa vien fuori guidando e lasciando esprimere chi ha un motivo ispiratore con un’opera, in questo caso di Moravia. Infine, fino agli anni Novanta sono stati molti i documentari di tipo classico e divulgativo su Moravia, alcuni oggettivamente interessanti. Ma appunto c’erano già.
Nel documentario è costante il riferimento alla tecnologia digitale che sembra dialogare con i materiali visivi passati di Moravia. Vuole spiegare meglio questa scelta estetica?
Si tratta sia di una scelta “formale”, per tentare di mescolare formati diversi, “vecchi” e nuovi, come lo straordinario repertorio d’archivio Luce e Rai, il repertorio amatoriale, la ripresa classica, con le riprese in diversi formati con lo smartphone, e perfino il laptop e la webcam. Ma è anche una scelta del tutto narrativa: metà del Pianeta è oggi chino sul telefonino, metà dell’informazione si produce con i video e i social, tutti filmano tutto, ma soprattutto se stessi, domina il “selfie”, o la propria vita messa in scena. Ho provato a vedere cosa succedeva se questo mezzo veniva usato nello stesso modo, ma per raccontare il “fuori”, la banalità del quotidiano, di quel che vedo dalla finestra o se passeggio nella mia città, però attraverso il filtro e l’ispirazione della poetica di un grande autore.
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