Luca Grispini ha 30 anni, ed è di Roma. Dopo la laurea in medicina, ha capito di voler mettere da parte gli studi di specialistica in psichiatria per concentrarsi sulla recitazione. Al Filiming Italy Sardegna Festival, insieme alla collega Federica Pagliaroli, l’attore, tra i volti delle prime quattro stagioni di Skam Italia, ha ricevuto il Filming Italy Spotlight Award in collaborazione con il Nuovo Imaie. Un premio che è una spinta per continuare a fare bene un mestiere non semplice, dove la concorrenza non manca e non c’è posto per tutti.
Luca, cosa significa per te fare l’attore?
Ho 30 anni e dieci anni fa ero totalmente un’altra persona. La recitazione è stata un po’ un pretesto per raccontare chi sono e come sono fatto. Un modo di esprimermi sempre in modo spontaneo. Sono una persona scostante nella vita, ma la recitazione è sempre stata, invece, una costante.
Quando hai capito che volevi fare l’attore nella vita?
Da bambini io e mio fratello vedevamo tanti film, anche horror, oltre alle pellicole di animazione della Disney, e ripetevamo insieme i dialoghi. Ci dividevamo le battute. Ho iniziato a fare i primi laboratori teatrali e a studiare seriamente recitazione. Quando ho finito il liceo, ho sentito però che non sarebbe stato facile questo percorso e mi sono iscritto a medicina e ho preso la laurea. Ma quando è arrivato il momento di intraprendere la specializzazione in psichiatria ho lasciato l’università. Ho sempre saputo che volevo fare l’attore. Anche se non è facile…
Per via della competizione?
Non credo esista un posto per tutti con un certo peso nel nostro settore. Se vuoi fare l’attore lo fai, dipende da come. Talvolta hai la sensazione di fare una corsa su un tapis roulant che va veloce e tu devi cercare di non perdere mai il ritmo. Comunque sono contento delle scelte che ho fatto e di come sono. Talvolta mi chiedo, se avessi preso quella decisione piuttosto che un’altra, come sarebbe andata? Ma così è fatta la vita. Il problema è che noi giovani viviamo l’ansia del futuro. La nostra generazione è molto preoccupata. Ci è stata inculcata questa idea che dobbiamo avere tutto e subito. E invece dobbiamo andare avanti con calma, senza fretta. Il bello del mestiere dell’attore è che ti porta, anche attraverso i personaggi che fai, a domandarti chi sei nel profondo, nel lavoro come nella vita.
Qual è il progetto che ti ha dato di più?
L’ultimo film che ho fatto, L’amor fuggente, opera prima di Davide Lomma, è stata un’esperienza importante. Non solo per il ruolo, ma anche per la sintonia che si è creata con tutto il gruppo (nel cast Caterina Shulha e Lorenzo Adorni) e questo è molto importante quando lavori su un set.
Tu hai fatto parte anche delle prime quattro stagioni di Skam Italia dove interpretavi il personaggio di Federico Canegallo.
È stata un’esperienza formativa. Una serie generazionale importante, pur essendo un remake, che ha saputo raccontare aspetti importanti dei giovani. C’è stato anche un grande studio nelle scuole da parte di Ludovico Bessegato e Alice Urciuolo proprio per raccontare al meglio le nuove generazioni. Per me quel progetto si è chiuso, perché Federico esce di scena, anche se la serie sta andando avanti. Devo dire che in generale non amo quando si prolungano troppo le stagioni.
Segui più il cinema o oggi nell’era del telefonino preferisci di più le serie?
Lo streaming ha dato una grande mano alla qualità della serialità. Da quando ci sono le piattaforme, le idee sono più importanti nei contenuti e mi piace seguirle. Ma per me è essenziale il cinema. Un tempo ci andavo moltissimo, ora meno perché sono rimaste pochissime le sale anche a Roma dove si proiettano i film internazionali in lingua originale. L’ultimo film che ho visto sul grande schermo è The Whale.
Con chi vorresti lavorare?
Il mio sogno, irrealizzabile lo so, sarebbe Paul Thomas Anderson. In Italia mi piacerebbe lavorare con Matteo Garrone, che ho avuto modo di incontrare qui in Sardegna. È il regista italiano che mi dà di più a livello emotivo. Ma ho una grande ammirazione anche per i fratelli D’Innocenzo.
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