LUCA D’ASCANIO


Un cast niente male: Rosalinda Celentano, Giorgio Tirabassi, Paola Cortellesi, Cecilia Dazzi, Cinzia Mascoli, Francesca D’Aloja. Un budget ridicolo, appena cinquecento milioni di vecchie lire. Miracoli del digitale. Che in Bell’amico di Luca D’Ascanio è qualcosa di più di uno stratagemma tecnico. A Torino, dove il film è passato fuori concorso, è stata occasione per un dibattito organizzato da Cinecittà Holding, che tra l’altro ha contribuito alla nascita del film mettendo a disposizione il comparto Digital per il gonfiaggio. Ora si cerca una distribuzione.
D’Ascanio, sceneggiatore e autore di corti, tra cui un episodio di 80 mq, ha trovato alla Sorpasso Film di Maurizio Tedesco e Marco Risi due complici convinti da una storia in gran parte autoreferenziale. Quella di un aspirante regista angolano (Mariano Bartolomeu) che si fa ospitare da un amico di un’amica, complessato e depresso, gli vampirizza l’appartamento e l’esistenza con una sorpresa finale che ribalta il rapporto servo-padrone e gioca sulla cattiva coscienza dei bianchi verso l’Africa. “E’ proprio vero: ho ospitato Mariano per mesi, controvoglia ma senza osare ribellarmi, spinto dal ricatto morale di un obbligo di ospitalità generico, ossia solo perché era africano e veniva da un paese in guerra. Lì ho capito che essere buoni significa anche essere razzisti”.

E’ una cattiva coscienza condivisa da molti.
Credo proprio di sì. La primissima idea del film mi è venuta mentre camminavo per Roma. Un tizio tampona una macchina, scende furibondo e pronto a insultare il guidatore che ha frenato bruscamente, ma mentre si avvicina la sua rabbia si paralizza e riesce solo a dire “sarai pure negro, ma sei anche un idiota!”.

Mariano, oltre che nero, è una specie di vampiro, un manipolatore.
Lo era anche nella realtà. Aveva, tra l’altro, una stregonesca capacità di orientare il destino. Davvero gli sono morti il padre e la sorella in rapida successione, anche se nessuno ci voleva credere quando lo raccontavo: era una situazione grottesca. Ma appena decidevo di mandarlo via di casa, gli capitava qualche disgrazia.

Hai scelto di replicare la realtà lasciandoti il ruolo del protagonista.
All’inizio ho chiesto a Mariano di fare se stesso e lui ha accettato con molto senso dell’ironia. A quel punto mi è venuto spontaneo mettermi in gioco. Tutti gli altri attori, invece, sono venuti dopo e con uno stile di lavoro molto poco ortodosso.

Sei un sostenitore convinto del digitale come conferma l’apparizione di Salvatore Piscicelli in un piccolo ruolo?
Questo film faceva parte di un progetto più ampio con la Sorpasso Film, un film intitolato Grigio topo che non siamo riusciti a mettere in piedi proprio per questioni di budget. Quindi sì, credo che il digitale sia uno strumento agile e comodo, anche se ciascuno di questi aggettivi nasconde un doppio fondo. Il film in digitale va sorvegliato come se fosse il pellicola, perché c’è il rischio di girare ore e ore e poi trovarsi nei guai al montaggio. O ancora, ci sono metamorfosi incontrollabili della resa visiva, viraggi che non mi aspettavo.

Hai usato vari tipi di camere, dal mini dv alla dv cam.
Esprimono diverse situazioni. Le immagini di Rosalinda Celentano, la donna che mi ha mollato e che mi ossessiona, sono girate da vicino, come ricordi del protagonista. Il punto di vista di Mariano è reso da una camera diversa, i suoi cortometraggi, che si vedono varie volte, sono in 16 mm, e così via… E’ un film frammentario che stratifica varie cose.

autore
09 Novembre 2002

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