VENEZIA – “Questa sceneggiatura l’ho scritta nel corso degli anni, il punto di partenza è stato la canzone omonima di Akiko Yano e, in particolare, la strofa in cui dice ‘Qualunque sia la distanza tra di noi, niente può impedirmi di amarti’: l’ho sentita circa venti anni fa ma credo che oggi, anche alla luce della pandemia che ci ha costretti alla distanza sociale, all’isolamento, sia stato il momento migliore per farne un film”.
Il regista giapponese Kōji Fukada (Premio della giuria in Un Certain Regard a Cannes per Harmonium nel 2016) è in gara a Venezia con Love Life. Si tratta di una storia d’amore e di morte che mette in scena un doppio triangolo sentimentale. Una donna divorziata con un bambino di 7 anni si è risposata nonostante l’opposizione dei genitori di lui. Ma una tremenda tragedia familiare rompe ogni equilibrio e fa tornare in scena il primo marito, sordomuto e vagabondo senza fissa dimora, mentre il marito ritrova brevemente una sua vecchia fiamma. “In tutti i miei film – spiega il regista – tratto temi universali, in cui tutti possano riconoscersi. E per me sono fondamentalmente due: la solitudine, che tutti dobbiamo affrontare, e la morte che ci riguarda anch’essa tutti. L’idea del memento mori mi affascina sin dall’adolescenza. Prima o poi tutti moriamo ma ognuno di noi è portato ad affrontare questa esperienza, ovvero il lutto per la perdita di qualcuno, in modo diverso. La morte è un evento naturale che farà parte del nostro percorso, è come un cerchio d’acqua che si increspa e si allarga e arriva a ciascuno di noi con una forza diversa a seconda della vicinanza della persona che è venuta a mancare”. Un relativismo evidente nella scena del funerale, dove una cerimonia ordinata e codificata viene interrotta dall’irruzione di un dolore rabbioso ed evidente.
A chi gli chiede se registi come Hamaguchi (Drive My Car) e Kore’eda (che il 6 settembre riceverà a Venezia il Premio Bresson della Fondazione Ente dello Spettacolo) abbiano influenzato il suo lavoro, Fukada risponde “sin da quando sono adolescente ho visto moltissimi film e ognuno di questi, in un certo modo, ha contribuito a formare il mio sguardo: Kore’eda, nello specifico, utilizza la famiglia come sistema, come microcosmo per esplorare le relazioni, io invece cerco di proporre la famiglia come pregresso di quello che succederà nel momento in cui l’essere umano si riscopre solo”.
Sensazione che travolge la protagonista, interpretata da Fumino Kimura: “Il film si basa su un copione molto intenso, leggerlo mi ha dato la sensazione di ritrovarmi di fronte a personaggi che vivevano una vita estremamente normale”, dice l’attrice, che nello sviluppo del racconto torna ad imbattersi con il padre biologico del figlioletto, interpretato da Atom Sunada, attore sordomuto: “Sono molto contento perché la cultura dei non udenti è stata inserita nel film ed è una cosa che non accade così spesso, neanche nei programmi televisivi, mentre in quelli in cui accade il più delle volte si tratta di personaggi che vengono restituiti con pietismo. In Love Life il pietismo non c’è e la cosa mi ha reso davvero felice”. “Mi sono cimentata per la prima volta nella lingua dei segni – aggiunge l’attrice – Non si tratta semplicemente dei gesti, è una lingua precisa, che costringe i due interlocutori a guardarsi sempre negli occhi, dimostrando in modo più sincero i propri sentimenti, cosa che tra Taeko e il marito Jiro non avviene, visto che si parlano senza guardarsi l’uno con l’altra”.
Il film si svolge principalmente in due appartamenti che si trovano dirimpetto in grandi palazzoni di periferia dove le luci si accendono e si spengono contemporaneamente. “Riuscire a creare la distanza con espedienti grafici non è facile – spiega ancora il regista – quindi ho pensato che due complessi residenziali, vicini tra di loro ma separati, potessero rendere l’idea”. E sul personaggio di Park, l’ex marito sordomuto: “Non era stato pensato come tale, ma ad un certo punto ho pensato che il linguaggio dei segni potesse aumentare la tensione. C’è questo linguaggio segreto tra la moglie e il primo marito che il secondo marito non può comprendere. L’idea mi è venuta nel 2018 quando ho partecipato a un workshop al Tokyo International Deaf Film Festival dove si parlava di non udenti e dove mi sono trovato per la prima volta a riflettere sul tema”.
Infine sull’alternarsi di un tono drammatico e di momenti leggeri (specie il personaggio di Park è quasi caricaturale): “Il senso di realtà deve prevalere nella mia visione, la vita non è tutta tragedia o commedia. A volte nello stesso istante qualcuno è triste e qualcun altro ride. Il tono dell’esistenza non sempre è coerente”.
Love Life sarà nelle sale italiane dal 9 settembre con Teodora.
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