LOCARNO. Daniela Persico, unica selezionatrice italiana del Festival di Locarno – è entrata quest’anno nello staff della neo direttrice Lili Hinstin, ma collabora con la manifestazione svizzera da ben sette anni – è entusiasta del suo nuovo lavoro: “Locarno è un festival internazionale con grandi ambizioni, ma ha due caratteristiche che mi piacciono davvero tanto. La prima è che per il concorso internazionale (che come è noto è la sezione più difficile e al tempo stesso più rappresentativa per un grande festival) non è affatto importante il nome o la fama dei registi: e questo consente di poter scegliere film che piacciono davvero, senza fare quei giochi di equilibrio da manuale Cencelli che invece tante volte contrassegnano le selezioni. E la seconda è che Locarno non esaurisce la sua attività nelle proiezioni, ma c’è davvero molto altro. Credo sia un modello straordinario di quello che oggi un cineasta può chiedere a un festival. Ovviamente, è importante dare visibilità ai film. Ma è altrettanto importante, e forse ancora di più, creare occasioni che consentano a coloro che lavorano nel cinema di trovare le persone giuste, di incontrare chi può servire loro per chiudere un progetto. Insomma, un festival che non si limita al cinema che già esiste, ma si proietta verso il cinema che verrà”.
Un esempio di questa attenzione è certamente il programma Match Me. “Si tratta di un tavolo di lavoro a cui partecipano i produttori portando dei film in fase di sviluppo per aprirsi alle collaborazioni internazionali. È un programma che coinvolge sempre molti italiani. Alessandro Amato, ad esempio, il produttore di Maternal (unico film italiano nella competizione internazionale) è uno di loro e ha trovato qui i partner giusti per poter realizzare quel film. Quest’anno invece sono presenti Antonella Di Nocera, Daniele Segre e Simona Pellicioli. Come sappiamo, il cinema indipendente italiano ha difficoltà a trovare budget, e questo programma sembra fatto apposta per le sue esigenze”.
E poi ci sono le iniziative dedicate ai giovani, come il Base Camp. “Il Base Camp consente di invitare duecento giovani da tutto il mondo, ma la presenza italiana è davvero molto forte. Sono ragazzi che studiano cinema e che non avrebbero i mezzi per poter partecipare a un festival, e con il Base Camp noi li possiamo ospitare per tutto il periodo in una ex caserma a Losone che è stata ristrutturata diventando una sorta di campus. Un livello più alto è la Filmakers Academy, diciotto giovani selezionati in tutto il mondo con i quali realizziamo incontri con gli ospiti più significativi del festival. Vorrei ricordare poi che i Pardi di Domani ospitano solo i cortometraggi di chi non ha ancora fatto un lungometraggio, e di conseguenza sono uno spazio molto importante per chi si affaccia alla regia. In primavera si svolge invece L’immagine e la parola, una riflessione tra scrittura e cinema che ha anch’essa molti legami con l’Italia, come focus ma anche come partecipazione di pubblico. Insomma, per questo parlavo di un festival che investe sul cinema del futuro”.
Essere l’unica italiana nel comitato di selezione ti consente di avere una percezione importante di come il cinema italiano venga percepito all’estero… ”Si certo, per una come me che viene dalla critica militante della rivista Filmidee si tratta al tempo stesso di una conferma e di una verifica. La conferma riguarda il fatto che il cinema che mi è sempre piaciuto, il cinema scomodo e con grande attenzione al reale, ha all’estero una grande considerazione. Al tempo stesso, però, mi accorgo che le enormi difficoltà produttive che hanno questi film si ripercuotono a volte anche nella loro realizzazione. In Italia si fanno film a budget medio che sono soprattutto commedie e che hanno scarse possibilità nel mercato internazionale, perché l’umorismo che piace in Italia non è così apprezzato fuori dai nostri confini. Però sono convinta che Locarno sia la sede giusta per mostrare lavori come Maternal: un film del genere in un festival come Cannes o Venezia sarebbe stato schiacciato. Il problema in Italia è che ci sono pochi autori, e che l’idea di un prodotto destinato anche all’estero non è una delle scelte prioritarie di chi produce i film”.
Anche riguardo alla questione delle donne nel cinema, e soprattutto dietro la macchina da presa, la Persico sembra avere le idee molto chiare: “generalmente su tanti film selezionati sono sempre più numerosi i registi uomini, quest’anno invece c’è stata una felice inversione di rotta. Siamo stati molto contenti di notare che le opere più interessanti le hanno girate delle donne. E questo è davvero un bel segnale, perché crediamo che sia il prodotto di un lungo lavoro in cui hanno investito una serie di produttori molto capaci come Marta Donzelli e Gregorio Paonessa di Vivo Film e Carlo Crestodina con Tempesta. Loro hanno lavorato moltissimo sui giovani e in particolare sulle giovani registe, tanto da creare un vero e proprio vivaio che credo sia servito per dare coraggio, per spingere molte altre donne a passare dietro la macchina da presa. Una di queste è certamente Ginevra Elkann che ha portato a Locarno un film davvero molto interessante, compiuto, che raccoglie, lo si percepisce subito, anni di lavoro e di studio del cinema anche attraverso altre professionalità”.
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