“Sono Giancarlo, ospite ‘sabbatico’ di questo istituto penitenziario: nel film sono Priamo, il vecchio re di Troia che interpreta l’ultima scena che chiude l’Iliade, quella dove va a reclamare il corpo del figlio ad Achille”.
È una delle tante interviste che scandiscono le scene del film Il pianto degli eroi – L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate diretto da Bruno Bigoni e Francesca Lolli, in anteprima il 17 novembre al Cinema Arlecchino di Milano, nell’ambito del Filmmaker Festival 2024, sezione Teatro Sconfinato.
Seduti a turno davanti alla telecamera, gli attori-detenuti, molti di loro giovanissimi, provenienti da varie regioni dell’Italia e del mondo, descrivono emozionati il singolo personaggio omerico che interpretano, oltre al significato che danno a quest’esperienza, per molti la prima in assoluto sulla scena. Nel film, infatti, girato in un bianco e nero + rosso che anche sul lato estetico ne amplifica poetica e profondità, i ruoli maschili sono tutti interpretati dagli ‘ospiti’ del carcere, mentre le parti femminili sono affidate ad attrici professioniste.
“La maestà di Priamo, quella che mi ha commosso di più, è quella maestà non più regale, ma la maestà del ‘Re della Supplica’. Di una supplica che lo rende… diverso. Cosa resta a Giancarlo di Priamo? La capacità di chiedere scusa e la capacità di chiedere perdono”.
Nella scena clou di cui parla Giancarlo, i due protagonisti (da un lato lui, Priamo, e dall’altro il sudamericano Miguel nei panni di Achille, il dio della guerra) si rivolgono l’uno all’altro nella propria lingua di origine – in questo caso il napoletano stretto e lo spagnolo – a renderne ancor più attuale e drammatico il contenuto. Ma in generale in tutti i 75 minuti del film, scena dopo scena, si percepisce quanto i temi drammatici della guerra, dell’onore e della violenza, ma anche quelli della speranza, della redenzione e della libertà, non si trovino solo al centro dei poemi rappresentati – l’Iliade’ di Omero Le Troiane di Euripide. Al contrario, quanto essi siano strettamente intrecciati con il vissuto profondo di questi uomini e queste donne: uno dopo l’altra, infatti, recitando un passo del poema o parlando liberamente in camera, ci svelano le loro sofferenze, le loro lotte interiori e quelle materiali, che devono affrontare da ristretti nel loro contesto, in un racconto di cui mai come oggi si sente il bisogno, che ci parla finalmente di umanità.
“Io ci sono già in guerra per la libertà, dice Cosmin, che nel film interpreta Ulisse. “Ogni giorno mi sveglio alla mattina e devo lottare, correre da un posto all’altro per cercare di seguire bene il mio percorso per uscire da qua, perché comunque il fatto di stare qua ti blocca tante cose, che a me come persona mi mancano”.
“L’iliade è attuale in modo incredibile”, gli fa eco Nicola, che interpreta Agamennone. “Perché le immagini, i modelli, sono sempre quelli: gli eroi, le guerre, il sangue, l’attrazione a fare la guerra, lo scontro, la discordia, è sempre quella, è immutabile, non cambia. Il messaggio che ho visto è che anche i più forti di tutti quanti i guerrieri alla fine la perdono la guerra”, riprende Nicola. “Dopo tutte queste morti, questa sofferenza, questo sangue, non si ottiene niente. Omero l’aveva detta questa cosa, quindi, peccato che gli uomini non l’abbiano capita. A distanza di millenni il messaggio è chiaro, ma incompreso”.
Perché dunque affrontare oggi il tema della guerra, riflettendo sull’Iliade e le Troiane proprio in un carcere? Perché affidare riflessioni e interpretazioni ad alcuni detenuti? La risposta arriva direttamente dai registi, Bruno Bigoni e Francesca Lolli:
“Per dimostrare che è possibile dare nuovo significato a vissuti tragici, cercando di comprendere il conflitto in modo autentico, e consegnando a chi recita un’inedita chiave di lettura”, spiegano gli autori. “Parlare di guerra senza retorica, oggi, significa cercare modalità interpretative e spiegazioni che non si limitino a semplici slogan, ma che colpiscano al cuore del problema. Portare la “guerra” in un luogo in cui ogni persona vive la propria lotta quotidiana offre prospettive nuove, punti di vista originali e spunti di riflessione inediti. Usare i testi di Omero e di Euripide permette di aprire una “porta” interpretativa unica, attraverso cui i detenuti possono riflettere sul significato più ampio di ciò che comporta la guerra”.
Le soluzioni scenografiche, coreografiche e musicali, e in generale la qualità raggiunta da Bigoni e Lolli nella realizzazione del film all’interno dell’Istituto di pena sono decisamente di alto livello, non meno della magistrale direzione di attrici e attori detenuti. Ma il valore aggiunto assoluto de Il pianto degli eroi – L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate è certamente da ricercarsi nei racconti dei detenuti stessi, tutti molto toccanti.
“Nel film faccio il ruolo di Patroclo, un guerriero” dice il giovanissimo Amza, che non riesce quasi mai a guardare in camera. “Patroclo sarebbe una persona generosa, una persona che non si tira mai indietro, uno che ama i suoi amici, li tiene tutti nel cuore. L’esperienza del film mi è piaciuta molto, mi sono divertito… non mi sono mai sentito così, ‘una persona tra la gente’. Perché diciamo che sono una persona timida, però certe volte esplodo, non riesco a tenermi, forse sarà emozione, felicità… Ora mi sento un’altra persona, come una persona che è appena nata”.
Il pianto degli eroi – L’Iliade e le Troiane nel carcere di Bollate nasce dalla collaborazione tra Bruno Bigoni e Francesca Lolli all’interno dell’Università IULM, ideando un progetto cinematografico che affrontasse le tematiche della guerra, cercando di costruire un percorso virtuoso che permettesse ad alcuni studenti della Magistrale di Cinema Tv e New media di poter lavorare con un gruppo di detenuti del carcere di Bollate.
La realizzazione del film è stata finanziata dall’Università IULM, sostenuta e resa possibile dalla direzione del carcere di Bollate, dalla Coop.Sociale Articolo3, dal Ministero di Grazia e Giustizia e dall’organizzazione esecutiva di Altamarea Film.
Da aprile a giugno 2023 i registi e 3 studenti, coinvolgendo un gruppo di 10 detenuti, hanno cominciato ad adattare il testo, a provare e lavorare sul corpo, a organizzare luoghi e personaggi. A luglio sono iniziate le riprese durate 4 settimane. Di seguito, montaggio, post produzione e infine chiusura del progetto nell’estate del 2024.
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