Pardo d’onore a Paul Verhoeven, l’uomo di Basic Instinct e Starship Troopers, Piazza Grande di nuovo gremita per la prima di Hollow man, tutto effetti speciali e citazioni di genere, 90 milioni di dollari di budget nonostante le riprese claustrofobicamente in laboratorio e un cast più medio che stellare (Elisabeth Shue è l’eroina, Kevin Bacon, al solito, il cattivo perché vuole farsi dio).
Cos’è? Un trionfo hollywoodiano alla vigilia della chiusura del 53esimo Locarno? Solo in parte. Un po’ perché Verhoeven è in realtà olandese e ha passato metà della sua carriera – anche se non la più eclatante – in Europa, un po’ perché tanti anni fa, ben prima di essere adottato dalle major, era stato qui con un corto “invisibile”. E tuttora dice: “Sono europeo, sono emigrato a 47 anni, ho conservato uno sguardo esterno, critico, verso la società americana. Vengo dall’Olanda che, come l’Italia e la Svizzera, non è certo una superpotenza, non decide le sorti del mondo. Per gli yankee resto un estraneo, uno che si spinge sempre troppo oltre in fatto di sesso e violenza”.
Certo, anche da regista europeo Verhoeven aveva successo. E dunque invisibile solo per modo di dire.
Niente a che fare con il censurato Wang Shuo, lo scrittore-regista di Nanchino arrivato a Locarno in forme semiclandestine con il “film-sorpresa” Papà. Wang Shuo, definito un “dinamitardo della cultura cinese”, ce l’ha con l’autorità – che sia il padre, il maestro, il funzionario di partito o lo Stato – e nega, soprattutto, che si debba anche amarla, quell’autorità. Così il suo unico lungometraggio, tratto da un suo romanzo, è stato vietato ancor prima di arrivare alla commissione di censura. Qui l’abbiamo visto con quattro anni di ritardo. E poteva anche non arrivare per niente.
Pare che una delle cose disturbanti in Papà sia l’immagine squallida della Cina contemporanea. Motivo per cui dovrebbe essere vietatissimo R11. Altro video italiano inserito in “Cineasti del presente”, realizzato da due autori trentenni (Eva Baratta e Vincenzo De Cecco) e prodotto da Laura Cafiero. R11, che non è il nome di un’auto francese ma quello, inquietante, di un alveare di appartamenti tutti uguali, ci porta nella Torbellamonaca filmata ad esempio anche da Eros Puglielli in Dorme. Estrema periferia romana senza centro, molto cinematografica, dove facciamo la conoscenza con una famiglia di quelle invisibili. Senza padre (passa la vita tra la galera e il bar), con figlio e figlia adolescenti ma fuori da scuola, per poca voglia e molte bocciature, e quasi senza amicizie, con madre affetta da esaurimenti nervosi ma almeno carica di ironia. Tutto in interni e sempre addosso ai personaggi, come peraltro il portoghese No quarto da Vanda di Pedro Costa che qualcuno indica come un possibile Pardo. Più che cinema, una webcam piazzata sul terzo mondo che è in noi.
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