LOCARNO 2000 #4


Un vecchio e una bambina si tengono per mano. Valigia, sciarpa al collo, sfondo carta da zucchero come nelle fiabe. E’ la locandina di Azzurro, il film svizzero che chiuderà – fuori concorso – il festival. In realtà è una coproduzione con Italia e Francia, questa opera seconda di Denis Rabaglia, nato a Martigny nel ’66, doppia nazionalità, svizzera e italiana, la voglia di fare i conti “con le radici italiane e con la mia svizzeraggine”.
La cosa ci riguarda parecchio anche perché il vecchio in affiche è Paolo Villaggio – atteso qui a Locarno nel week-end. E tra l’altro il film è un road movie tra la Puglia e Ginevra, dove l’anziano ex emigrato Giuseppe De Metrio torna per cercare concreta solidarietà dal suo ex padrone (vuole far operare la nipotina che sta diventando cieca) ma trova una Svizzera cambiata, non più precisione millimetrica e nitidi paesaggi alpini… Così siamo ultracuriosi di vedere questo omaggio, dicono, alla commedia italiana… E sospettiamo che contenga persino un’eco della Tangentopoli ticinese di cui giornali e tv locali parlano proprio in questi giorni.
Sono lontani i tempi di Pane e cioccolata (1973) – dove Brusati fotografava con ironia tragica un paese impenetrabile alla vitale cialtroneria dell’emigrato Manfredi, cameriere degradato sul campo per sfiga congenita. Un paese francamente razzista oltre che intrinsecamente classista, pronto a umiliare in ogni modo quella forza lavoro a buon mercato di cui però aveva anche maledettamente bisogno.
Storie che si ripetono ovunque se pensiamo ai boat people che assediano le coste adriatiche, agli scafisti… E sono vicende lontane dall’ordinato Ticino ma neanche troppo. Gli immigrati (persino portoricani) arrivano anche qui e gli schermi del festival rimandano immagini di degrado, lotta di classe, miseria estrema incastonata persino nelle economie più avanzate o magari fianco a fianco (qualche esempio: gli adolescenti di L’amour, l’argent, l’amour del tedesco Philip Gröning, costretti a prostituirsi in tutte le forme possibili, dalle marchette al lavoro nero che sembra vivano in una terra desolata ma hanno il bancomat; i trans perseguitati da politici dell’eterna nuova destra del portoghese in A raiz do coraçao di Paulo Rocha; le gerarchie gangsteristiche nelle bidonville africane di Bronx-Barbès di Eliane de Latour o il quartiere tossico dei capoverdiani di Lisbona in No quarto da Vanda di Pedro Costa. Altro che blaxploitation alla Shaft!).
E’ un cinema vitale e sporco, anche se non sempre riuscito, che spesso usa il video senza complessi d’inferiorità verso il 35 mm. E dove i rapporti di forza sono rimessi drasticamente in discussione.
Come tra Italia e Svizzera, tramontati i tempi di Pane e cioccolato. Adesso sono i commercianti ticinesi che lamentano il cambio sfavorevole franco-lira – “non arrivano più i pullman carichi di gitanti padani che la domenica compravano orologi e mucche di ceramica” – ma le banche continuano a sembrare templi dell’intermediazione finanziaria “pulita” con tanto di candelabri e tappeti persiani, vetrine piene di gioielli e poltrone di pelle, filodiffusione e mai nessuno che maneggi vil denaro… quale sarà lo sportello per fare un bonifico?
Scopriamo, leggendo i giornali, che il cinema della Confederazione troverà in un accordo di coproduzione con l’Italia attualmente allo studio – e che si vorrebbe da queste parti velocizzare – una delle strategie per reagire a una crisi a tal punto confessata da stimolare un dibattito televisivo alla TSI dal titolo “Cinema svizzero: missione impossibile?”. Quanto ai fatti nudi e crudi: a Locarno non c’è neanche un film nazionale in concorso ed è la prima volta dal ’71 (dice Marco Müller che di quindici visti nessuno era all’altezza, neppure un presunto Dogma svizzero emulo di Lars Von Trier), mentre l’ufficio federale della cultura ha ufficialmente esaurito i fondi per il 2000.

autore
08 Agosto 2000

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