Lo sguardo di Delbono, quando il telefonino è arte

'Amore carne' di Pippo Delbono in sala il 27 giugno distribuito dalla Tucker Film e in contemporanea in Francia


Amore carne, senza la congiunzione e senza articolo, per dire della “carne ferita” ma anche del desiderio di trasformare “la ferita in nuova linfa”. E’ uno dei film più belli e sorprendenti di Venezia 68 questo di Pippo Delbono, presentato a Orizzonti. Girato con un telefonino LG o con una piccola videocamera, strumenti “leggeri” che permettono al teatrante ligure, regista, attore e danzatore, di restituire il suo sguardo personale sulla vita e sull’arte. Uno sguardo unico, forse perché segnato da una cicatrice sulla cornea che è simbolica come quel titolo preso in prestito da una lirica di Baudelaire.

Già oggetto di una “personale” al Festival di Locarno, il suo cinema (Guerra, Il grido, La paura) si arricchisce ora di un nuovo capitolo anche grazie a Frèdéric Maire, ex direttore di Locarno e attualmente a capo della Cineteca svizzera che ha voluto a tutti i costi contribuire alla produzione. Il film, che qualcuno ha definito un “viaggio nelle vene”, rappresenta in una serie di tableaux, tra camere d’albergo e nebbie rarefatte, da Budapest a Istanbul, da Parigi a Birkenau, all’Aquila appena prima del terremoto, un avvicinamento alla morte che ne è superamento.

Morte consumata, come quella di Pina Bausch, o morte presagita e temuta, com’è per tutti. Ma qui Delbono mette in gioco il suo essere sieropositivo da 22 anni, cosa abbordata con autoironia nell’episodio in cui si confronta con la burocrazia ospedaliera per fare il test HIV, fingendo di farlo per la prima volta. La condizione di chi è sieropositivo è totalmente cambiata in questi anni, oggi le cure funzionano bene, eppure è rimasto lo stigma che ha accompagnato una malattia caricata di significato altro.
“Nell’immaginario collettivo c’è ancora la vergogna, il senso di colpa che schiaccia”, suggerisce Delbono. Che ha filmato le sue analisi in segreto, come l’incontro con la madre Margherita, gagliarda 85enne che non sa del suo essere sieropositivo. In una scena “rubata” nella cucina di casa, le sue parole sono sfumate, ad esse si sovrappongono quelle del figlio, tra attaccamento e noia, ritorno dell’identico e nostalgia.

Questo è solo uno dei tanti frammenti di cui è composto un autoritratto che va ben oltre la confessione privata. Alla famiglia biologica si sostituisce quella artistica: Laurie Anderson, Irène Jacob, Bobo, Marie-Agnes Gillot, Sophie Calle, Marisa Berenson, Tilda Swinton, Alex Balanescu, sono tutti complici del suo lavoro. Hanno tutti qualcosa di importante da dire. Ma lo stesso vale forse per il vecchio incontrato per la strada o per gli ospiti di una balera che non vogliono essere ripresi. Danza, parole, creazione artistica, silenzi e ricordi sono la tessitura magica che trasforma in esperienza teatrale, e dunque sacrale, la nostra visione.

Da poco visto a Cannes, protagonista del film francese che ha chiuso la Quinzaine Henri di Yolande Moreau, in cui lui è Henri e nel film di Valeria Bruni Tedeschi, Un château en Italie, con una partecipazione straordinaria, Delbono sta ultimando il montaggio di un nuovo film Il sangue, che racconta l’incontro con l’ex brigatista Giovanni Senzani, ed ha appena debuttato a fine maggio con “Orchidee”, l’attesissima sua nuova creazione teatrale, che sarà in autunno allo Strehler di Milano, all’Argentina di Roma e poi a Parigi.

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19 Giugno 2013

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