In un film, in fondo, ognuno vede quello che vuole. E vale più che mai per La città ideale, la densa opera prima di Luigi Lo Cascio, testo nutrito della sua esperienza di siciliano, dell’amore per Kafka e Pirandello, e di una sottile linea sciasciana che percorre il cinema d’impegno civile italiano, linea spesso interrotta eppure arrivata intatta fin qui. Il film, distribuito dal Luce in 30 copie dall’11 aprile, dopo l’anteprima alla Settimana della critica e al festival di Bari, è certamente un thriller morale dalle geometrie astratte, uno studio sull’identità fuori dal tempo. Ma alla sua misteriosa trama si sovrappongono anche vicende tutte contemporanee. Come lo scandalo del Monte dei Paschi. Siena, dov’è ambientata la vicenda, non è più, per molti, una città ideale. Com’è invece per il protagonista Michele Grassadonia, un ecologista intransigente e ingenuo che ha lasciato la caotica e compromessa Palermo per cercare un ordine rinascimentale, un luogo a misura d’uomo da percorrere a piedi e dove anche buttare una cicca per terra può dare nell’occhio e destare scandalo. “Ho sempre pensato a Siena, anche mentre scrivevo la sceneggiatura, insieme a Massimo Gaudioso, Desideria Rayner e Virginia Borgi. A Siena si riprecipita nel Medioevo e nel Rinascimento, è a misura d’uomo, misurata dai suoi abitanti attraverso le contrade, ha persino un teatro nel palazzo comunale, è tutta cinta da mura eppure gli orti si infiltrano nel perimetro urbano. Ha dalla sua la forza degli archetipi che la proteggono e così continua ad essere città ideale nonostante la caduta”. Il riferimento alle vicende di cronaca giudiziaria è indiretto (tocca al produttore Angelo Barbagallo dire qualcosa di più). Lo Cascio preferisce restare su un terreno filosofico, a tratti metafisico. “La ricerca della città ideale – prosegue l’attore rivelato da I cento passi – mostra che non ci bastiamo. La scegliamo, ma non sappiamo perché. L’ideale si incarna nelle nostre passioni, è fondato sulle nostre pulsioni che ci sono in parte sconosciute. Perché uno è ecologista e non si occupa invece dei pozzi d’acqua in Africa? Evidentemente nella fede del personaggio c’è una ricerca di purezza che forse, per contrasto, affonda nella storia della sua famiglia e in qualcosa di sporco”.
Qualcun altro vuole leggere nel film un atto d’accusa contro la magistratura. Michele Grassadonia viene ‘incastrato’ da un castello di accuse che sembrano costruirsi da sole. Ma Lo Cascio smentisce. “Non volevo attaccare la giustizia o i magistrati. Ho scelto questo ambito perché qui la ricerca della verità, il tema che mi stava a cuore, è più pressante, perché bisogna pervenire a una sentenza attraverso un interrogatorio, un processo, un incidente probatorio, tutta una serie di riti quasi teatrali. Un uomo che non riesce a rendere ragionevole e coerente la sua parola cade facilmente in contraddizione. Ma la giustizia di per sé funziona, non c’è alcun accanimento del magistrato né della polizia”. Piuttosto c’è un difetto di comunicazione, di autorappresentazione e un uso diverso delle categorie. E c’è il fanatismo di Michele, la sua purezza esibita, che si scontrano con la logica dell’inquirente e lo additano come “sbagliato”. Ma aggiunge Luigi: “Spero che ci siano ancora persone come lui che hanno introiettato un senso di colpa personale e che, seduti di fronte a un magistrato o un poliziotto, traballano. Li preferisco a chi si pone davanti alla legge come se fosse cosa sua, proprietà sua”.
E dunque la morale come fondamento dell’identità. E l’incubo kafkiano al cospetto della legge. “Kafka mi è molto caro, l’ho portato a teatro con il monologo Nella tana. Qui ci sono echi del Processo, per l’atmosfera soprattutto. Mi piace Kafka quando dice che l’uomo è legato a una catena abbastanza lunga da non sentirla, ma che però lo fa cadere a terra quando si muove troppo a lungo in una sola direzione”.
Un film molto personale, dunque, dove ha trasferito sue passioni, sue esperienze, sue manie, sue paure. Tanto che sua madre Aida Burruano, professoressa ‘costretta’ a fare il cinema “per amore del figlio”, è la Madre.
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