L’infanticidio di ‘Salve Maria’. Mar Coll: “volevo fare un film fisico, vibrante, non intellettuale”

Il film, basato sul romanzo 'Mothers Don't' di Katixa Agirre, partecipa a Locarno77 nella selezione del Concorso Internazionale: protagonista di questa vicenda è Laura Weissmahr, con il ruolo di una mamma, anche scrittrice, che s’interroga sul senso della maternità, a partire da un caso di infanticidio gemellare


LOCARNO – Chi è Maria (Laura Weissmahr)? La domanda non è retorica, né misteriosa, né ludica, perché l’identità, quella interiore dell’essere umano, è al centro della vicenda. Maria è una mamma, una neomamma, una donna che è appena stata investita dalla vita di questo profilo. Maria è una scrittrice, arte che la stimola tra fantasia e realismo, ed è proprio l’essenza più cruda della realtà in cui s’imbatte, con un impatto che stordisce, che scombussola, che nausea, che spariglia le carte delle certezza di una mamma: Maria sbatte contro l’orrore quando legge la notizia di una mamma francese rea di infanticidio; la donna ha affogato i suoi due gemelli di 10 mesi.

Il ghiaccio interiore, il raccapriccio, la mostruosità del gesto mordono Maria, e i suoi pensieri, fino all’ossessione. Tutto sta in una domanda persistente: “perché?”. Perché quella mamma, una mamma come lei è mamma, ha compiuto quell’atto estremo, che parrebbe andare contro la natura dell’essere umano e che invece si afferma come possibilità: sì, l’infanticidio è una possibilità.

Mar Coll firma Salve Maria, basato sul romanzo Mothers Don’t di Katixa Agirre, un adattamento da cui eredita anche la forma narrativa in capitoli, portatori, ciascuno, di un concetto, come la considerazione sulla linea che separa la lucidità dal buio interiore, non davvero così marcata: il film è un’opera spagnola, che a Locarno77 compete nella selezione del Concorso Internazionale.

“E’ una storia che mi ha portata a ritrovare una complicità con Valentina Viso, la sceneggiatrice: lei aveva già due bambine e io un bimbo da 15 mesi,  abbiamo parlato tantissimo dell’esperienza della maternità. Da una parte, quindi, c’era questa possibilità, e poi c’è stata un’amica, che conosce l’autrice del libro, che ha pensato potesse interessarmi e potessi trovare un legame. L’abbiamo adattato ma lavorando da una prospettiva diversa dalle esperienze personali, come fosse una sorta di thriller. Volevamo lavorare su un tema importante ma con un punto di vista un po’ differente, qui stava la sfida. Volevo fare un film fisico, vibrante, non un film intellettuale. Si voleva lavorare sul genere, lavorare con tutti gli elementi narrativi: volevo giocare con l’immagine e il suono, un ottimo canale per creare una certa atmosfera; è stata una sfida trovare il suono del film, volevamo fosse horror ma anche naturale. Mi sembrava indispensabile, il suono, per raggiungere il pubblico con senso di angoscia e oppressione”.

Con Salve Maria l’archetipo della madre – ventre, culla, nido – si deforma, tra senso di colpa, interrogativo sociale e messa in discussione del sé. E Laura Weissmahr, nel suo primo ruolo da protagonista, spiega: “io non sono mamma e questa cosa mi preoccupava parecchio: ho fatto molta ricerca e ho scoperto, appena iniziate le riprese, che il lavoro pregresso fosse stato quasi inutile, perché una volta che mi sono trovata col bambino in braccio anche il movimento del corpo è stato naturale. È stata un’esperienza immersiva, al di là del ruolo, perché si entra in un viaggio nelle nostre oscurità, proprie anche dello spettatore: ciascuno vivrà il proprio viaggio”.

E, rispetto allo specifico della protagonista, nel film scrittrice, oltre al fatto che sia stato un adattamento, Coll riflette che la scrittura fosse “un modo per lasciar uscire la sua ossessione. Per gli scrittori è reale dire quello che sentono e – all’inizio e alla fine del film – si rende evidente il dover entrare esplicitamente nelle cose : scrivere vuol dire mettere nero su bianco, tradurre in parole e quindi cercare così anche una reazione più sana, rendendo i sentimenti espliciti. Lei è un personaggio complesso e delicato: sì, volevamo un film viscerale, ma c’è anche molto spazio per la parola, così abbiamo voluto coinvolgere chi ne abbia scritto prima di noi, delle madrine come Simone de Beauvoir o Sylvia Plath, che erano citate nel libro, e che abbiamo voluto tenere, rendendo omaggio a chi – prima di noi – ha trattato questi temi/tabù a voce alta; noi, come artisti, vogliamo cercare di umanizzare l’altro, per capire queste cose, che accadono”.

 

 

 

 

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