‘Limonov’, Serebrennikov adatta Carrère, con un formidabile Ben Whishaw

In Concorso la biografia romanzata del personaggio reale già protagonista per lo scrittore francese, presente con un cameo: entusiasmante la versatilità interpretativa dell’attore britannico, che procede di pari passo a quella di una visione registica dalla composizione eclettica


CANNES – Limonov – The Ballad è anche la biografia politica degli ultimi settant’anni di Storia mondiale. Limonov è il poeta, il comunista, il dandy, il rivoluzionario, l’emigrato, il trasformista, l’attivista, il fuorilegge e il maggiordomo: Limonov – al secolo Eduard Veniaminovič Savenko – è l’uno, nessuno e centomila della penna di Emmanuel Carrère, che ha scritto una biografia romanzata del personaggio reale, che Kirill Serebrennikov porta sul grande schermo – in Concorso – con uno strabiliante Ben Whishaw (che non stonerebbe con una Palma in mano).

Il film – così come il personaggio – è versatile nella sua composizione, gioca con una fotografia che restituisce con la sua patina perfetta l’epoca, ma non da meno ritaglia e inserisce un collage animato, che sposa con sequenze patinatissime di scatti d’alta moda e, altrettanto, gabbando lo spettatore con credibilissime sequenze di (falso) repertorio.

Un giro del mondo da Mosca a Parigi, passando per New York e le carceri della Siberia: lui, considerato un dissidente, si definisce “solo un uomo in contrasto col codice penale”. Lui, Eddie – ucraino di nascita – quando consacrato dalla fama torna in Russia perché più interessato a quella vita che a quella compassata dell’Occidente.

Ma chi è Limonov, perché “Limonov”? Lo racconta con orgoglio lui stesso – in una (falsa) intervista, falsa perché Serebrennikov costruisce la finzione del repertorio con magia suggestiva: “da limonka”, che significa “bomba a mano”, ed ecco così la chiave dell’identità, tonda, intonsa, apparentemente innocua, invece deflagrante, proprio come lui.

Si sente il volto della sua generazione, palpita l’anima ribelle e palpita la voglia di mordere la vita, così come palpita il cuore, per Elena (Viktoria Miroshnichenko) anzitutto, modella bellissima, magnetica per Limonov al limite dell’ossessione, capace di farlo comportare come una rockstar – ennesima sfaccettatura del prisma umano che lui è. Con lei vive soprattutto la fase newyorkese, la prima almeno, quella in cui Eddie sopravvive con un sussidio di 300 dollari e infatti non manca di riflettere ad alta voce che lì, in America, “sei nel paradiso del consumismo, ma ne sei escluso”. Una verità sempreverde.

Eppure, “la conquista dell’America” è anche la conquista della sperimentazione, della sua prima volta omosessuale, momento in cui, infatti, si chiede: “a cosa serve questa libertà?”, questione a cui si risponde dicendo di non sapere se sia davvero libero, ma poi eccolo ballare, fluttuare, muoversi lì tra lo skyline di quella Grande Mela di oltre mezzo secolo fa, perfettamente restituita nel suo tempo narrato, in quella danza pregna, sì, di libertà (la “ballad” del titolo).

Il film di Kirill Serebrennikov è suddiviso in capitoli tematici, dalla “Patria” alla “Gloria”, passando per la “Rivoluzione”: in questo tempo orientato e cadenzato dell’esistenza, Limonov arriva al ‘77, anno del trasformismo forse più palese, quello in cui dopo il suo plateale omicidio (geniale, l’idea) eccolo diventato il maggiordomo di un imprenditore alto borghese della New York d’allora; lui vuole scrivere, e in quella casa c’è l’opportunità di conoscere scrittori, editori, ed ecco che Limonov ci propone il concetto di “impostore” ma… se il fine giustifica i mezzi, perché no?

Il tempo del film – tra i suoi capitoli e il camaleontismo di Eddie – passa inoltre dalla caduta del Muro di Berlino, dagli anni della Thatcher e di Reagan, così come di Carlo&Diana, e di un dialogo – metaletterario, potremmo definirlo – con il suo creatore, Emmanuel Carrère, in occasione di un convegno in Russia: ora Limonov lo può gridare al mondo, “ora sono famoso”. Ma la fama, si sa, comporta onori e oneri, infatti lo seguiamo dietro le sbarre siberiane, il carcere è duro ma lo spirito non cambia, infatti, Limonov afferma: “sono morto, ma non sono mai stato così vivo”.

La libertà, infine, ritorna: è il 2003, l’uscita dal carcere è un simbolico ballo in faccia ai media del globo, perché sì, tutto questo, da New York alla prigione, è stata una fama cercata, bramata, costruita, un ballo infinito sul tetto del mondo.

Il film è co-prodotto da Francia, Spagna e per l’Italia da Mario Gianani e Lorenzo Gangarossa – Wildeside, distribuito da Vision Distribution.

 

 

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19 Maggio 2024

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