Nel corso della serata omaggio alla regista Liliana Cavani, in programma il 18 dicembre al cinema Lumiere di Bologna, verrà presentato il volume, dedicato alla regista, della collana ‘Una Regione piena di cinema’ dedicata ai grandi cineasti emiliano-romagnoli e promossa dall’Agenzia Informazione e Ufficio Stampa della Giunta e dall’Assessorato Cultura Sport Progetto Giovani.
Il libro, pubblicato dalle edizioni Falsopiano, si apre con un’intervista di Giacomo Martini alla regista che ripercorre l’intera carriera cinematografica e televisiva, di cui pubblichiamo alcuni stralci. Tra i testi proposti ci sono due saggi che approfondiscono, il primo i due film dedicati alla figura di San Francesco; il secondo ripercorre la genesi del controverso Galileo, portando alla luce materiali inediti custoditi presso l’Archivio Fondo Cavani di Carpi, città natale della regista.
Inoltre è pubblicata una testimonianza di Angelo Guglielmi, che aveva seguito la produzione del primo Francesco come dirigente Rai. La monografia propone anche due inediti della Cavani: ‘Appunti sulla crisi del piano-sequenza’, e ‘La necessità di una presenza cattolica nel cinema italiano’.
La sua carriera di regista inizia negli anni ’60 con una serie di documentari prodotti dalla Rai. Le serie realizzate per la rubrica “Anni d’Europa”, “Storia del Terzo Reich” e “Età di Stalin”. Documentari girati in 16 e 35 mm anziché in video. Come nasce il tuo rapporto con la Rai e come si sviluppano questi progetti televisivi?
Il rapporto con la Rai nasce dall’aver vinto un concorso per ‘funzionario di concetto’. Uno di quei concorsi. Difficilissimi devo dire, che vinsero prima di me Furio Colombo, Umberto Eco, Angelo Guglielmi. Seguì un anno di lezioni su temi multimediali. Successivamente rifiutai il contratto di ‘funzionaria’ perché volevo girare documentari e film (stavo anche frequentando il Centro Sperimentale di Cinematografia, corso di regia). Ero al posto giusto al momento giusto. La Rai voleva infatti trasmettere documentari di storia contemporanea e inchieste sociali e fui subita coinvolta nel progetto. Dal 1962 al 1965 mi dedicai ai documentari e alle inchieste. Sono stati la mia università di storia contemporanea e di conoscenza diretta del mio Paese. Venivo dal Lettere Antiche e conoscevo soprattutto epoche del passato. Sono stati gli anni che mi hanno fatto prendere coscienza anche della ‘politica’ del mio Paese. Ho avuto successo ma anche critiche da partiti opposti. Subito il mio lavoro ha suscitato molte discussioni. La storia del Terzi Reich fu sgradita all’ambasciata tedesca che ne impedì la rimessa in onda. Ci furono tagli vistosi all’inchiesta La casa in Italia. Però dentro la Rai di allora c’era molta coscienza della necessità di dover ampiamente informare e formare (…)
Lou Castel e Mickey Rourke due attori per Francesco. Cosa ha dato ognuno al personaggio?
Mi piacque Mickey Rourke moltissimo ne L’anno del dragone di Michael Cimino e così lo cercai per Francesco. Ero contraria ad una visione di Francesco santino fragile. Mi è sempre piaciuta l’immagine che ne dà Giotto nella basilica di San Francesco ad Assisi. Giotto lo illustra come un ragazzo forte e normale. Del resto Francesco si era preparato per fare il cavaliere di ventura, quindi usare le armi che allora erano pesanti spadoni da reggere stando a cavallo. Mickey porta la sua prestanza e un sorriso indifeso. Porta poi soprattutto la sua bravura grandissima di attore. La stampa ha dato quasi l’idea di un pugile prestato alla recitazione. E’ vero il contrario. Mickey ha studiato recitazione con Sandra Seacat a New York risultando tra i migliori. Ho lavorato con bravi e grandi attori. Mickey mi è parso il più bravo. Il suo metodo gli permette di estraniarsi fino ad attingere energia ad una pura sorgente nel profondo di se stesso. E così l’uomo che ad un certo punto nel fiore degli anni cambia vita di netto non è un debole o un bacato, ma un uomo virile, anche bello, che dà tutto se stesso a quel Gesù del quale desidera sentirsi fratello minore.
Lou Castel è stato il volto convincente della nostra (Bellocchio ed io) precontestazione (Francesco d’Assisi, I pugni in tasca). Lou era un ragazzo pensoso che quando rideva si illuminava tutto. Era già un Francesco nella vita, era già predisposto a donare tutto. Al mio personaggio portò quindi se stesso interiormente e la saldatura con il Francesco che avevo in mente fu totale. Il film fece scalpore per la forza di questa aderenza (…)
Tre anni dopo Il gioco di Ripley il tuo incontro con Claudia Mori dà vita ai progetti “De Gasperi” e “Einstein”. Come sei arrivata alla scelta dei due soggetti?
De Gasperi mi fu proposto da Claudia Mori quando la Rai aveva già accettato l’idea. Conoscevo di De Gasperi quello che può saperne chiunque. Per come mi sono formata, De Gasperi era solo un leader democristiano del quale sentivo parlare da ragazzina ai tempi del liceo. In casa mia non apprezzavano il genere perché la famiglia di mia madre (nella quale sono cresciuta) era di idee opposte. Però, poiché sono curiosa, prima di decidere ho voluto leggere alcuni libri. In primis la biografia di Maria Romana De Gasperi, che non è una ‘buonista’ verso il partito del padre. L’ho trovata interessantissima e mi ha spinto a leggere libri sull’epoca di De Gasperi, risvegliando in me lo spirito dei documentari sulla storia delle ideologie, E così, infine, ho accettato con entusiasmo.
Einsitein è stata invece un mia idea. Ho letto anche in questo caso un paio di biografie che mi hanno aperto la testa. Un tema favoloso: la fisica. Ricordo che dopo il liceo, al momento di decidere che facoltà scegliere, il mio professore di matematica mi spingeva verso la fisica; avevo la predisposizione. Però poi mi iscrissi a Lettere Antiche. Ho parlato dell’idea del film a Claudia Mori, che ne è stata entusiasta. Su Einstein non era stato mai fatto un film. Solo un cosiddetto docu-dramma, quelle cose fatte in studio da un attore al leggio, qualche scenetta girata e materiale d’archivio. Un genere che non mi piace. La Rai ha accolto l’idea. L’ho girato in presa diretta inglese per facilitare la divulgazione e perché la storia non è italiana. Lo stanno vendendo in vari Paesi.
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