Let me in: crescere da vampiri negli USA di Reagan


E fenomeno fu. In origine, c’era il libro Lasciami Entrare, bestseller svedese di John Ajvide Lindqvist. Una storia di vampiri atipica, calata in un contesto sociale drammatico e realistico, e lontana anni luce da fenomeni a tema analogo costruiti, su carta come al cinema, per scatenare legioni di ragazzine urlanti.

Un horror moderno e raffinato che, grazie al grande successo, venne presto convertito in pellicola, per la regia di Tomas Alfredson su sceneggiatura dello stesso Lindqvist. Un successo pari, se non superiore, a quello del romanzo.
Ora è la volta dell’immancabile – e, per molti, non così necessario – remake americano (in coproduzione con l’Inghilterra). Si chiama Let me in, è diretto da Matt Reeves (già al timone di Cloverfield), è interpretato da Chloe Moretz, Kodi Smit-McPhee, Richard Jenkins e viene presentato in anteprima, quasi in contemporanea con l’uscita americana che ha fatto faville al Box Office, al Festival Internazionale del Film di Roma, fuori concorso.

La trama segue i passi dell’originale, a sua volta piuttosto fedele alla controparte cartacea, spostando semplicemente l’azione dalla Svezia agli USA: è la storia del rapporto tra la dodicenne Abby e il suo coetaneo Owen, un ragazzo timido, schivo, con molti problemi in famiglia e vessato dai bulli della scuola, che gli impongono angherie fisiche e psicologiche d’ogni tipo. Quando Abby si trasferisce nell’appartamento accanto con quello che pare essere suo padre, Owen non può fare a meno di notare che è diversa dagli altri. Quel che non sa è che la ragazza è in realtà un vampiro, e che molti sono i segreti che si celano dietro la sua affascinante e fragile figura.

Accompagna il film a Roma il regista Matt Reeves, che subito mette le cose in chiaro spiegando le motivazioni per cui ha accettato di dirigere il rifacimento di un film così recente: “Me l’hanno proposto per il solito motivo. Gli americani non amano vedere i film in originale con i sottotitoli, ma la storia piaceva molto e dunque hanno scelto di acquisire i diritti e realizzare il remake. All’inizio ero dubbioso, perché dopo Cloverfield volevo dedicarmi a un progetto che avevo in mente da molto tempo e che si chiamava The Invisible Women. Ma non ci riuscivo perché in quel periodo molte case di produzione indipendenti erano in forti difficoltà economiche. Mi hanno presentato Let me in  ponendo l’accento soprattutto sul dolore dell’adolescenza, sul problema del bullismo e io, oltre ad averla trovata straordinaria, ho scoperto che era davvero molto simile al progetto che stavo cercando di realizzare. Solo dopo ho scoperto che c’erano di mezzo i vampiri. Ho letto il romanzo e ho parlato con l’autore, che aveva scritto anche la sceneggiatura del film originale. Ho capito che anche per lui gli attacchi dei vampiri erano la cosa meno importante. Contava invece tutto ciò che c’era prima, cioè l’orrore della crescita. Mi ha svelato che quello che raccontava era la sua adolescenza, e da quel momento ho sentito verso di lui un forte legame, perché anch’io avevo provato le stesse cose”.

Il lavoro di Reeves, che può comunque dirsi riuscito, è stato quello di far sì che la pellicola potesse reggersi sulle proprie gambe, anche senza paragonarla con la fonte d’origine: “Ho visto il film originale due volte, poi basta. E ho chiesto anche alle persone che lavoravano con me, se già non l’avevano visto, di non farlo, perché volevo che ne venisse fuori una versione personale. Più che un remake ‘inquadratura per inquadratura’, ho affrontato il lavoro ‘sequenza per sequenza’. Il libro si ambientava in Svezia negli anni ’80, nel momento in cui io stesso vivevo la mia adolescenza, ma in America. Ho voluto usare lo spostamento d’ambientazione per contestualizzare i sentimenti del protagonista. Uno degli aspetti più toccanti del libro è la sua difficoltà a distinguere il bene dal male. A quell’epoca c’era Reagan, e mi sono chiesto: ‘come reagirebbe un bambino costretto a sopportare tanto dolore, se vivesse in un mondo in cui il Presidente parla di questi concetti in maniera superficiale, bollando come ‘buono’ tutto ciò che è americano e come ‘cattivo’ tutto ciò che viene da fuori? Forse penserebbe lui stesso di essere una creatura del male, e avrebbe comunque molte difficoltà a relazionarsi agli altri. Nel romanzo, ad esempio, è molto marcata la sua ossessione per i serial killer, che sviluppa proprio perché sente la frustrazione di non riuscire a vendicarsi. Sono riuscito a reinserire anche dei momenti che nella pellicola originale non c’erano”.

Mancano però riferimenti diretti al passato di Abby, nel libro strettamente legato alla sua sessualità. Il suo personaggio ha 220 anni, nasce maschio ma viene castrato e diventa vampiro a 12 anni ad opera di un altro succhiasangue. Il film sceglie l’ambiguità: quando Abby dice ad Owen “non sono una ragazza” potrebbe riferirsi soltanto alla sua condizione mostruosa. Ma la ricerca di un’identità sessuale è un punto di svolta chiave nella vita di un adolescente. Non a caso, l’insulto che i bulli rivolgono costantemente a Owen è quello di “femminuccia”.

“La scena è stata girata – precisa Reeves – la troverete su Internet. E quando la vedrete capirete che l’ho esclusa perché non funzionava emotivamente. Ma rappresenta il punto di incontro tra i due personaggi. Lei è stata attaccata e castrata, lui vive costantemente nell’ansia e nella paura di essere attaccato dai suoi compagni di scuola. E sono il dolore e la tensione che li accomunano, sono personaggi costantemente sulla corda”.

Il titolo originale del romanzo, Låt den rätte komma in, che tradotto letteralmente significa Fai entrare quello giusto, fa riferimento alla canzone di Morrissey Let the Right One Slip In, inserita nell’edizione speciale dell’album Viva Hate, ma anche al folklore, secondo cui i vampiri non possono entrare in una casa se non espressamente invitati a farlo dal proprietario. Questo elemento era presente anche in Ammazzavampiri, horror cult degli anni ’80.

La pellicola, che sarà distribuita in Italia da Filmauro, segna anche un grande ritorno: quello della storica casa di produzione Hammer che, fondata nel 1934, è stata la base del successo di horror tra più famosi in assoluto, tra cui Dracula, La maschera di Frankenstein, L’astronave atomica del dottor Quatermass. Acquisito da Media Exclusive Group, il marchio inglese è stato rinnovato nel 2010 e torna ora a imbrattare di sangue le sale cinematografiche di tutto il mondo.

autore
31 Ottobre 2010

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